Regia di William Friedkin vedi scheda film
“Vorrei un altro incarico Tom, non fare più questo lavoro, non è per me. Non ci sono più tagliato.”
“Tu sei il migliore che abbiamo!”
“Lo pensi davvero? Qui non basta la psichiatria e tu lo sai, Tom. Molti dei loro problemi riguardano la fede. La loro vocazione, il significato della loro vita e io non ce la faccio più. Devo smetterla, non fa per me. Credo di aver perso la fede, Tom.”
Cantiere archeologico, Iraq: Lankester Merrin (Max von Sydow), esorcista e studioso, rinviene un'antica statuetta ricollegabile a Pazuzu, uno dei demoni della cultura assiro-babilonese. Isolato e suggestionato, Merrin avverte un brutto presentimento.
Quartiere “in” di Georgetown, Washington D.C.: Damien Karras (Jason Miller), prete gesuita laureato in psichiatria ad Harvard, perde l'anziana madre greca che viveva da sola. Logorato dal senso di colpa per non averla assistita al meglio, Karras vive un momento di profonda crisi.
Ma nello stesso quartiere è in atto una crisi ben peggiore: Regan (Linda Blair), dodicenne figlia unica della nota attrice Christine MacNeil (Ellen Burstyn), è afflitta da una strana sindrome a cui i neurologi non sanno dare risposta: emicranie e insofferenze varie degenerano rapidamente in aggressività e coprolalia fuori dal normale.
Intanto il tenente Kinderman (Lee J. Cobb), uomo bonario e accorto cinefilo, indaga sulla misteriosa morte dell'amico di Chris e regista Burke Dennings (Jack MacGowran), avvenuta precipitando da una scalinata sottostante la finestra della camera di Regan MacNeil. Christine, che ha ormai abbandonato ogni speranza nonostante gli sforzi della scienza medica, tiene nascosta la sua bambina ormai ingestibile e orribilmente trasformata e si rivolge a Karras, il quale, a sua volta, capisce che Regan è posseduta e richiede al vescovo l'autorizzazione a procedere con un esorcismo. Sarà proprio l'anziano Padre Merrin ad intervenire in una tremenda nottata...
Sceneggiato e prodotto da William Peter Blatty nel 1973 e tratto dall'omonimo romanzo dello stesso Blatty, “L'esorcista”, diretto da William Friedkin, è un film travagliato e scioccante divenuto e rimasto un cult, spesso ricordato fra i film più terrificanti di tutti i tempi in quelle classifiche che lo sminuiscono catalogandolo come horror.
Non è semplicemente un horror paranormale, ma un film drammatico in cui Friedkin persegue un esasperato realismo: sono presenti veri medici ad illustrare una metodologia desueta per ottenere un'angiografia cerebrale, veri reverendi in particine minori ma impiegati sul set come consulenti “tecnici”, ci sono state vere e proprie incursioni autorizzate di Friedkin in Iraq e in un ospedale psichiatrico per le riprese. Questo realismo talvolta rende il film anti-spettacolare, soprattutto sul piano del ritmo (lentissimo) e degli insulti a sfondo sessuale della posseduta Regan, che oggi possono apparire ridicole, in special modo ad uno spettatore – per così dire – poco contestualizzante, e oggettivamente insistite.
È vero anche che, come horror puro, “L'esorcista” non può funzionare più così bene dopo quarant'anni ed ecco che, fortunatamente, entra in gioco il suo carattere drammatico, che pone l'accento sulla fede, sulla crisi e sul dolore da un'ottica sostanzialmente credente cattolica (lo è Blatty, ai tempi pure Friedkin si diceva in qualche modo credente e diversi esponenti della Chiesa sospinsero positivamente il film vedendolo quasi come un elogio del potere esorcistico), ma non limitata ad un messaggio diretto in esclusiva ai credenti: ha spessore, ambiguità, conflittualità “laici”.
Se la sceneggiatura di Blatty manifesta indecisioni qua e là (qualche libero saltello narrativo di troppo, qualche sfumatura di fondo bigotta, alcuni rapporti fra i personaggi potenzialmente interessanti ma non sviluppati) e lascia scoperti i difetti di un film elaborato e diseguale, ci pensa l'inappuntabile regia di un Friedkin giovane ma già di successo a dare ulteriore linfa a “L'esorcista”, riuscendo a dirigere un film rischioso senza sbagliare un'inquadratura o una scena che sia una.
Una grossa mano la danno gli attori, tutti bravissimi, a partire da una Linda Blair adolescente strepitosa e mai più su quei livelli, fino ad un Jason Miller che allora era solo uno sceneggiatore teatrale di successo e che, all'esordio da attore, impersona con trasporto quello che è in definitiva il vero protagonista del film, anche se non tutti sembrano averlo capito; ottimi e sentiti anche Ellen Burstyn, che cede un po' il passo per forza di cose nella seconda parte, il grande Max von Sydow appositamente invecchiato e il riconoscibile comprimario Lee J. Cobb.
La colonna sonora consta di timidi e calibrati inserimenti di Penderecki, ma “L'esorcista” si ricorda principalmente per il tema tratto da “Tubular Bells”, suite progressiva dell'esordiente Mike Oldfield, ma sono eccezionali in generale gli effetti sonori e visivi.
Un piccolo e controverso pezzo di storia del cinema, un fenomeno di costume, un imperfetto e angosciante capolavoro.
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