Regia di William Friedkin vedi scheda film
Imitato centinaia di volte, quasi sempre da registi interessati soltanto a sfruttarne il successo, mediante quella «volgare esibizione di potere» di truculenze ed effetti speciali che perfino il Diavolo si era rifiutato di mettere in atto, L’esorcista di Friedkin, come scrive Daniela Catelli «resta inarrivabile prototipo». Questo racconto di una lotta tra le forze della Chiesa (forse dire di Dio è troppo) e quella di Satana o suoi delegati si inserisce nel clima cupo degli USA d’inizio anni Settanta, dal quale erano nati film come La conversazione di Coppola e Bersaglio di notte di Penn. Un clima che faceva i conti con quella che talvolta viene definita la perdita dell’innocenza americana (l’ennesima: ma quante volte l’ha perduta?), che Arthur Penn identificherebbe con gli omicidi dei due fratelli Kennedy, qui mostrata da Friedkin attraverso il gesto scioccante di una ragazzina di dodici anni che si sbatte il crocifisso nel sesso. Probabilmente sono andato ben oltre le intenzioni di Friedkin stesso, perché, tutto sommato, tra i propositi di William Peter Blatty, autore del romanzo originario, vi era quello di esaltare il ruolo salvifico della fede e della Chiesa Cattolica, che attraverso i suoi preti, pronti a dare la vita per la salvezza di Regan, ripete il sacrificio di Gesù Cristo sulla croce. Allo stesso tempo, il regista intendeva raccontare dei fatti cui la scienza (e tanto meno il cinema) non aveva saputo dare una spiegazione. Ma oltre a questo, resta il fatto che, a distanza di quasi quarant’anni, il film continua a far rizzare i capelli sulla testa.
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