Regia di Marc Forster vedi scheda film
Il piccolo capolavoro silenzioso di Marc Foster sceglie l’occhio dello straniero, lo sguardo lontano dell’ospite discreto e narra per immagini una tipica storia del sud statunitense. Ripercorrendo autorialmente le linee dominanti del suouth-drama, le rilegge in una chiave più europea e per questo già di suo “altra” rispetto ad un americano che racconti il suo sud, o un texano che racconti il suo Texas. Il film è così molto più scarno di un prodotto da Sundance, più intimo, meno compromesso e quindi più libero. Il cinema europeo viene citato linguisticamente lungo l’arco di tutta la pellicola, con scene che iniziano ben prima che inizi l’azione, e che finiscono non esattamente dove finisce l’azione: neorealismo. Ma in più ha la forza, tutta americana, del volto cinematografico. Billy Bob Thorton porta con sè i segni dell’attore che è stato, con quella faccia poco piacevole, irritante, come il suo Johnny; Heath Ledger porta con sè tutta la rabbia e l’anticonformismo che il suo fisico gli permette di veicolare, complice i pochi suoi precedenti ruoli; e Halle Berry porta con sè tutta la sensualità che aveva già sfoggiato, permettendo così una deflagrazione erotica di tutti i pruriti sessuali che sottotaciono alle sovrastrutture borghesi. Infatti, vita, morte, violenza e sesso si aggrovigliano tra loro in un amplesso selvatico che mette alla berlina tutte le menzogne che l’autorità impone al cittadino.
Un’impalcatura di menzogne accentuata dall’etica redneck che pervade gli animi dei suoi protagonisti. Il redneck, il contadinotto del sud americano, che fonda la sua vita su Patria, Dio e Razzismo, per colpa del suo stato sociale che non gli da alternative si concentra su una visione del reale che non dà spazio alla verità bensì ad una serie di convinzioni e tradizioni che se infrante distruggerebbero le colonne della loro società. Una comunità, la loro, estremamente conservatrice, fanaticamente religiosa, e storicamente razzista. Già Alan Parker aveva descritto più che bene questa infame cultura in “Mississippi Burning” nel 1988, dotando il film anche di un’intuizione felice che postulava l’odio come un insegnamento di famiglia, un Male radicato nelle coscienze del luogo, nelle tradizioni. Marc Forster fa lo stesso, come a loro tempo Tobe Hooper e altri, e tratta l’argomento dando maggior risalto all’istituzione della famiglia. Questa, se fondata sull’intolleranza, sulla segregazione e sul fanatismo religioso, diventa la più grande agenzia di terrore dei nostri giorni. Purtroppo, davanti alla sacralità della famiglia, tutti i giudizi critici non trovano appoggio, e si perpetua così la menzogna e il Male Assoluto. Un Male sottoforma di odio tramando di generazione in generazione e a cui i più poveri e aculturati danno ormai altri nomi, tra cui Dio e Patria.
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