Regia di Luigi Comencini vedi scheda film
L'architetto Garrone è un individuo viscido e opportunista che non si fa molti scrupoli ad imbucarsi a tutte le feste mondane della Tornino bene. Inaugurazioni, ricevimenti e quant'altro diventano per l'odioso architetto, occasioni per mangiare a sbafo ai buffet e per fare volgari avance alle piacenti dame torinesi. Alla fine di una calda serata estiva, l'architetto Garrone viene ucciso violentemente all'interno della sua casa, colpito a morte più volte sulla testa, da una scultura in pietra raffigurante un grosso fallo, che la vittima teneva su un tavolo del suo salotto.
Il commissario romano Santamaria, insieme al collega siciliano De Palma, seguono le indagini che coinvolgono molti nomi illustri di Torino.
I primi ad essere sospettati sono Anna Carla Dosio e Massimo Campi, la prima è la moglie di un importante industriale e il secondo è un giovane rampollo di una aristocratica famiglia torinese che si affatica non poco a tenere nascosta la sua relazione omosessuale con Lello, un giovane impiegato al catasto. Anna Carla e Massimo sono due amici che per noia si divertono a lunghi ragionamenti sulla pronuncia esatta in inglese dei nomi delle città, e prendono come esempio negativo proprio i modi eccentrici dell'architetto Garrone. Un biglietto scritto in un momento di rabbia da parte di Anna Carla a Massimo, fanno pensare ai due commissari al possibile coinvolgimento da parte dei due amici all'omicidio. Dopo un paio di pedinamenti, il commissario Santamaria comprende subito l'estraneità da parte dei due indagati al delitto, e rimane a sua volta rapito dalla bellezza e dal fascino di Anna Carla, e ne accetta l'aiuto per continuare le indagini. Da questo momento in poi si intrecciano tutta una serie di personaggi che diventano possibili sospetti, non solo: un altro omicidio si compierà quando l'identità dell'assassino starà per essere scoperto. Non voglio svelare oltre della trama perché si tratta di un vero e proprio giallo, tratto dall'omonimo romanzo di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, che negli anni '70 sono stati (insieme a Giorgio Scerbanenco) ispiratori di molti film di successo, lanciando un vero e proprio genere cinematografico.
“La donna della domenica” è infatti un esempio brillante di un giallo, colorato dalle tinte della commedia all'italiana. Luigi Comencini forte della sua esperienza pluri ventennale, confeziona un film dai toni leggeri, ma dalla trama complessa, dovuta ai molteplici intrecci che girano su una decina di possibili sospetti assassini, tenuti insieme da un bravissimo Marcello Mastroianni nella parte del commissario Santamaria, che mantiene la rotta della narrazione senza far perdere il filo delle vicende.
Un cast d'eccezione, oltre al sempre bravo Mastroianni, la bella Jaqueline Bisset e Jean Louis Trintignant rispettivamente nei ruoli di Anna Carla (che scopriremo essere alla fine proprio lei la donna della domenica) e Massimo Campi; un bravo (forse poco sfruttato al cinema) Pino Caruso, nella parte del commissario De Palma, e poi tutta una serie di ottimi caratteristi (che spesso nei teatri di prosa avevano delle loro rispettabili compagnie, e che al cinema ricoprivano ruoli marginali) come Claudio Gora, Lina Volonghi, Aldo Reggiani, Gigi Ballista e davvero molti altri volti molto noti per gli spettatori dell'epoca, e che oggi rimpiangiamo moltissimo per essere stati un tesoro nascosto di un cinema che non esiste più.
Il film, rivisto oggi e contestualizzato all'epoca in cui uscì, assume un'ulteriore importanza storica e mi impone una personale riflessione su quanta creatività girasse in quegli anni nel mondo cinematografico italiano. Siamo nel 1975, anno di uscita di “Profondo Rosso”, film di confine di un genere che prenderà sempre più vita, diventando un esempio per molti cineasti a venire. Oltre a Dario Argento (il nome più illustre a livello internazionale) ci sono stati prima di questa data altri registi italiani che si sono cimentati nel giallo, facendo diventare i propri film dei veri e propri cult: “Una lucertola con la pelle di donna”-1971 e “Non si sevizia un paperino”-1972, di Lucio Fulci; “I corpi presentano tracce di violenza carnale”-1973 di Sergio Martino; “Milano calibro 9”-1972 di Fernando Di Leo, “L'ultimo treno della notte”-1975 di Aldo Lado e “Cani arrabbiati”-1974 di Mario Bava (il maestro di tutto forse...), tanto per citare quelli ai quali io sono più legata. Parallelamente a tutto questo mondo, che utilizzava poco la fine ironia, a favore di una violenza ricercata che sfociava spesso in orrore e alla quale in futuro gli è stato trovato un termine per nominarne la tipologia di appartenenza (lo slasher ad esempio), vi è un altro mondo che utilizzava il linguaggio leggero, quasi comico, su trame che almeno sulla carta avevano poco da far ridere. Sergio Corbucci girerà nel 1979 “Giallo napoletano”; Nanni Loy, dopo “Detenuto in attesa di giudizio”-1971, ci fa nuovamente sorridere amaramente con “Caffè express” -1980 e poi continua ancora con “Mi manda Picone”-1983 (che diventa addirittura un modo di dire); sempre negli anni '80 Dino Risi inventa il personaggio del Commissario Lo gatto, uno dei ruoli più riusciti di Lino Banfi, che lo aiuta a uscire dalla commedia sexi e a non far naufragare la sua carriera con essa. Ovviamente il padre di questo modo di pensare cinematograficamente alla commedia è e rimane per sempre Mario Monicelli, precursore di tutti i tempi di questo genere con “I soliti ignoti” del 1958 ma che con “Un borghese piccolo piccolo”-1977 raggiunge la più alta vetta di amarezza narrativa.
Oggi si grida al miracolo per una fiction mediocre che passa in tv, solamente ieri avevamo tutto questo tesoro che col tempo abbiamo lasciato per strada a favore di monete di cioccolata, bisogna aspettare la morte di un grande attore quale Pino Caruso (per il quale “La donna della domenica” è andato in onda in sua memoria su Rai Movie l'8 marzo) per poter rivedere in tarda mattinata questo film delizioso, che consiglio vivamente.
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