Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film
La vicenda personale di una donna - la morte del marito, un avvocato ancora giovane - si intreccia con quella di altre persone, coinvolte nelle lotte sindacali (e quindi civili e politiche) della Polonia negli ultimi anni del regime comunista. Traspare, dalla storia narrata, la difficoltà di conciliare la vita privata con quella pubblica, delle rivendicazioni sociali e politiche di un paese nominalmente socialista. «Te ne freghi delle sofferenze altrui, vero? È più importante il tuo dolore.» dice Joanna a Ursula. «Sì. Hai ragione.» risponde quest'ultima. E se c'è un difetto nel film di Kieslowski (e di Piesiewicz, che riflette nella sua sceneggiatura la propria esperienza di difensore degli aderenti a Solidarnosc) è proprio l'imperfetta integrazione del piano privato con quello "politico". Cosa che riesce assai meglio all'autorità costituita, che sa anche essere clemente, rispetto a quanto sappiano fare i singoli cittadini, le singole persone. Non a caso, Ursula sta traducendo dall'inglese un libro di Orwell, che verosimilmente è 1984, visto l'anno in cui si svolgono le vicende del film. Senza fine come un regime di cui all'epoca non si intravedeva la scadenza, ma di cui si assaporava il lato più duro e repressivo (ancora non si parlava di perestrojka nella casa madre sovietica). Senza fine come la battaglia per uscire dal tunnel. Senza fine come un rapporto di affetto tra marito e moglie, che consente di passare sopra a qualsiasi colpa del passato e che si estende verso l'eternità anche pur non essendo nato sotto il segno del vero e grande amore. Notevoli gli interpreti (in particolare Grazyna Szapolowska e Aleksander Bardini), che ritroveremo qualche anno dopo nei vari episodi del Decalogo.
Bella l'idea di iniziare il film quasi come Viale del tramonto di Billy Wilder.
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