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Palazzina Laf

Regia di Michele Riondino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Palazzina Laf

di axe
8 stelle

Fine anni '90, Taranto. Nello stabilimento dell'acciaieria ILVA sono quotidianamente violate le norme di sicurezza; incidenti ed infortuni si susseguono, con conseguenze anche letali. Tra i lavoratori serpeggiano inquietitudini e timori; la voglia di protestare è tanta, altrettanto i timori di ritorsioni. I quadri aziendali alimentano i contrasti tra dipendenti ed incoraggiano la delazione. A tal proposito, ingaggiano un operaio disilluso, Caterino Lamanna, chiedendo, in cambio di vari benefit, che egli riferisca circa ciò che accade all'interno della "Palazzina Laf", ospitante un reparto dell'azienda nel quale sono "confinate" persone che ... creano problemi. Michele Riondino, di origine tarantina, fa il suo esordio alla regìa dirigendo un film di denuncia sociale, che trovo valido sia sotto tal profilo, sia per la caratterizzazione dei personaggi e del contesto. Il protagonista Caterino Lamanna, interpretato dallo stesso regista, è un operaio avvezzo alle fatiche, privo di speranza in un miglioramento della condizione lavorativa; probabilmente, s'accontenta di poter avere un'occupazione in fabbrica, essendo per lui l'alternativa la vita in una piccola e malconcia masserìa del quale la futura moglie, una ragazza dell'Est Europa, non vuol sapere. In particolare, Caterino non ha fiducia nei sindacati, che ritiene essere strumenti in mano ad individui senza scrupoli intenzionati ad accumulare potere ampliando la base di iscritti. Questo malcontento è percepito da Giancarlo Basile, un funzionario adibito alla gestione delle risorse umane ad esclusivo interesse della proprietà. Il potente Basile blandisce Caterino, offrendogli una promozione ed l'uso di una vettura aziendale, in cambio del reperimento di informazioni circa la attività sindacali del collega Renato Morra e, in genere, di ciò che accade nel reparto insediato presso la "Palazzina Laf", ove vivono le loro giornate lavorative i dipendenti "scomodi". Costoro, all'interno di uno stabile fatiscente, passano il tempo a non far nulla, poichè non hanno mansioni assegnate. Tanto più intenso è il desiderio di lavorare e rendersi utili, tanto più crudele si rivela il trattamento loro riservato. Ciclicamente, personaggi del calibro di  Basile si presentano nella struttura per convincere i "reclusi" ad accettare altri incarichi; ed hanno gioco facile. C'è, infatti, chi preferisce il demansionamento all'inerzia forzata, con conseguenze negative sui fronti della sicurezza, della retribuzione, dell'autostima. Caterino, pur senza troppa convinzione, riferisce alla direzione circa le attività dei dipendenti assegnati al reparto "riottosi". Egli è un utile idiota per Basile e relativi superiori; tuttavia, pur essendo lento di comprendonio, giunge a percepire, probabilmente senza comprenderlo a fondo, lo stato delle cose e l'importanza, in negativo, del suo ruolo, L'industria è nociva; inquina. A Taranto si muore; muoiono i lavoratori, i cittadini, gli animali delle fattorie; si disgrega il tessuto sociale di una città tenuta in ostaggio dalla presenza dell'acciaieria. Meglio morire lavorando, a causa del degrado ambientale, o morire di fame, poichè le alternative occupazionali sono un miraggio ? Proprietà e loro scherani sono consapevoli di avere in mano le sorti del territorio; spadroneggiano. Ma trovano sulla loro strada un pubblico ministero tanto volenteroso e competente da poterne intralciarne i piani; tra i risultati ottenuti, c'è il trasferimento del personale "deportato" nella palazzina e, a spettro più ampio, un avanzamento della dottrina giuridica in merito di reati connessi al mobbing. La connotazione del protagonista nasce e rimane negativa; è un tipico personaggio vittima ... e complice di chi, con crudele consapevolezza, approfitta dello stato di inferiorità, economica e culturale, altrui, per trarne vantaggi illeciti. Giancarlo Basile, trait d'union tra direzione e lavoratori, è interpretato da Elio Germano. "Capetto" infido ed insidioso, pur tiranneggiando i suoi sfortunati sottoposti, è a sua volta oggetto di sgradevoli attenzioni da parte dei superiori. Le dinamiche che disciplinano i rapporti gerarchici tra dipendenti sono spietate. Il ritmo del film è costante; subisce un'accelerazione in prossimità dell'epilogo, in merito al quale avrei apprezzato qualche dettaglio in più; le fasi dell'inchiesta giudiziaria non sono approfondite. Le tonalità delle immagini e del racconto sono cupe, in linea con gli argomenti trattati. Il regista dà conto del degrado del contesto sociale; di una umanità che convive dolorosamente con l'azienda, consapevole dell'ineluttabilità dei conseguenti mali. Della rescissione del legame con la terra, deturpata da piogge malsane, e con le attività ad essa più strettamente connesse. Di una vita amara anche in fabbrica, causa scarsa valutazione delle personalità dei singoli, trasgressione delle più elementari norme di sicurezza, la presenza di una "polizia aziendale" che tratta il personale come prigionieri in un lager. Della desolante assenza di prospettive. I personaggi si esprimono spesso in dialetto; i sottotitoli aiutano nella comprensione. Il protagonista è descritto con una sorta di amara ironia. Difficile odiarlo, poichè, perfetto figlio di un contesto deteriorato, difetta di consapevolezza. Per l'intera durata del racconto, lo spettatore attende una sua presa di coscienza, una "redenzione". Ciò manca; a mezza bocca, infine, ammette d'aver collaborato, in danno dei colleghi, con Giancarlo Basile e superiori. L'epilogo lo mostra ancora in fabbrica, dove pare costretto a vivere e forse, presto, anche a morire. Il regista ed attore Michele Riondino rende, con il suo lavoro, un buon servizio alla sua terra d'origine, accendendo i rifletto su un dramma nel dramma - i fatti (realmente accaduti) dei "forzati" della "Palazzina Laf", nel più esteso contesto delle vicende dell'ILVA - e consentendo le relative considerazioni in merito alle molteplici negatività; contemporaneamente, scrive una pagina di buon cinema, essendo l'opera ben realizzata ed interpretata, di agevole accesso e piacevole visione.

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