Regia di Luca Barbareschi vedi scheda film
Nel complesso, il film non mi è piaciuto. Esplicito meglio il mio pensiero: è un film da vedere e da valutare, con l’indubbia dote di accendere il sano e classico dibattito post visione e questo, per me, è un indubbio merito. Bella (ma scaltra come furbo e compiaciuto è tutto il film) l’ambientazione nell’ America del Nord Est (New York, forse Cape Code?), i vestiti, le tende, i drappi, le poltrone di pelle, i mobili delle case e degli uffici, le ambientazioni (il circolo, quello che dovrebbe essere un improbabile Tribunale, almeno credo), interessanti i movimenti di macchina e attraenti (anche se non del tutto innovative) le inquadrature, come azzeccata la musica. Già questi aspetti positivi illuminano gli aspetti esteriori del film nel complesso patinato e di impeccabile fattura, nella sua palese derivazione da un’opera teatrale.
Ciò posto, a mio avviso, il film è eccessivamente verboso, con dialoghi reiterativi e ridondanti, che illustrano un problema morale, riproponendolo all’infinito senza una possibile risoluzione logica.
Risultano assai telefonati, a mio parere, i colpi di scena (che non spoilero), così come mi sembra di comodo la proposizione di alcune tematiche sensibili nell’attuale dibattito.
Le interpretazioni attoriali mi sembrano tutte sopra le righe ed anche caricate: fin troppo accigliata, verbosa e sofferta l’intepretazione, comunque di spessore, di Luca Barbareschi. Troppo urlata e stilizzata, mi è sembrata quella della sua alter ego Catherine McCormarck.
Le poche altre presenze attoriali risultano complessivamente di secondo piano, con l’unica eccezione della figura dell’avvocato, raffigurato come una sorta di archetipo, ossia ambiguo torbido e disincantato professionista, in effetti dedito ad una propria idea personale di giustizia ed una scala di valori settata sul relativismo assoluto.
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