Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
“Non sono capace di toccarla. Non riconosco il suo corpo. Sono incapace perfino di aiutare le infermiere quando a letto le cambiano posizione. E mi sento molto meschino...”
“Parli con lei! Glielo racconti!”
“Sì, mi piacerebbe, ma lei non può sentirmi.”
“Com'è così sicuro che non ci sentano?”
“Perché il suo cervello è spento, Benigno!”
“Il cervello di una donna è un mistero... E in questo stato lo è di più.”
Benigno (Javier Cámara) è un tenero infermiere specializzato nel prendersi cura di persone in stato di coma vegetativo; un incarico delicato che svolge al meglio, tant'è che è già un veterano di reparto dell'ospedale ed è pressoché l'unico a provvedere alla paziente Alicia (Leonor Watling), bella adolescente in coma da quattro anni, un tempo leggiadra studentessa di danza sotto l'egida dell'insegnante Katerina (Geraldine Chaplin).
Marco (Darío Grandinetti) è un reporter e scrittore argentino, inviato dal quotidiano El País sulle tracce della conturbante torera Lydia (Rosario Flores), con la quale ha poi modo di intrattenere una relazione sentimentale nei mesi successivi. Questo fino all'evento cruciale: Lydia subisce una tremenda incornata durante una corrida de toros e finisce in stato vegetativo nello stesso ospedale in cui lavora Benigno.
È qui che quest'ultimo conosce Marco e scopre anche di averlo già visto una volta ad uno spettacolo teatrale, in lacrime. I due in breve tempo stringono un bizzarro rapporto di amicizia, confrontandosi sinceramente e scoprendo, immersi nei comatosi silenzi dei loro amori non vissuti a pieno, di essere sull'orlo del precipizio: il pragmatico Marco vede vacillare le sue passate certezze, mentre Benigno, vergine e frustrato, perde il contatto con la realtà e combina un disastro...
Spagna, 2002: dopo più di vent'anni di gavetta, Pedro Almodóvar, cineasta caleidoscopico, incostante e arruffone, ha finalmente sfoderato il filmone! In “Parla con lei” Pedro esplora contenuti e forme per lui inconsueti: la struttura ricca di flashback, l'assurdo inserto-omaggio al cinema muto (che è anche un “oltraggio” al comune senso del pudore, nonché un'introduzione alla svolta del film), il solito coraggio nell'affrontare temi intimi (ma stavolta diversi: i tormentati protagonisti sono uomini, spesso assenti e irresponsabili nella sua filmografia) sono già delle discrete note di merito.
Sul piano visivo, la bellissima fotografia di Javier Aguirresarobe si discosta molto dagli sfrenati cromatismi almodóvariani, che qui sarebbero stati molto fuori luogo nell'accompagnare la regia di un Almodóvar finalmente maturo: misurato, ordinato, funzionale ad un cinema inteso in senso più rigoroso e ciononostante dimostra ancora di saper trarre il meglio dai propri attori; stavolta non è presente nessuno dei suoi feticci, eppure una delle principali forze del film sono le prove recitative straordinarie, soprattutto di Grandinetti e Cámara. Anche i camei di Caetano Veloso, Pina Bausch e della straordinaria protagonista di “Tutto su mia madre” Cecilia Roth hanno decisamente il loro perché.
A proposito: “Parla con lei” risulta addirittura migliore del precedente “Tutto su mia madre”, film pregevole e premiatissimo ma ancora molto legato ad un macchiettismo queer e femminista un po' avvilente, per quanto godibile e in grado di permeare di humour una vicenda tragica. Qui la solitudine e il dolore, invece, la fanno da padroni, ma le lacrime non fanno troppo male perché Almodóvar dà ulteriore prova del suo tocco lieve (in verità assai superficiale in molte opere precedenti), fino a correre il rischio di giustificare ed empatizzare con un personaggio umanamente deprecabile; ma è probabilmente l'unica sbavatura di un film che in mani altrui avrebbe forse deragliato nella seconda parte.
Ottimo lavoro di un autore per il quale non stravedrò mai.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta