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Parla con lei

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Parla con lei

di FilmTv Rivista
10 stelle

Tre grandi capitoli: “Lydia e Marco”, “Alicia e Benigno” e “Marco e Alicia” (una storia, quest’ultima, ancora tutta da raccontare). Capitoli, vite e sospensioni, pause misteriose nella terra del silenzio e dell’immobilità, che s’inseguono, si intrecciano, ritornano su stesse, si mescolano con balletti, film e romanzi. E corpi che nell’inerzia del coma continuano il loro muto percorso, maturano, si fecondano e acquistano un’espressività immediata e diafana, forse ascoltano, talvolta decidono di rivivere e tal’altra di morire. L’amore continua a farsi e disfarsi, nelle vite solitarie che piacciono a Pedro Almodóvar, che mai è stato tanto estremo, remoto e ostinato come in “Parla con lei”, un film che sfiora la follia narrativa del più folle dei Sirk (“Magnifica ossessione”): due uomini amano due donne sepolte nel coma e, per quanto possono, “vivono” con loro nell’ospedale, accompagnando il loro sonno con i gesti e le parole della vita quotidiana. Costruito secondo una struttura narrativa fascinosa e rischiosa (il tempo va e viene, i flashback si insinuano nei flashback, i balletti di Pina Bausch sono un eterno preludio al racconto), girato con un’aderenza raffinata e disarmante alla concretezza dei corpi (non solo nei letti d’ospedale, ma anche nelle corride combattute da Lydia e dai tori, nelle lacrime versate da Marco davanti alla bellezza, nel sangue mestruale e negli ovuli che accendono il pallore di Alicia), “Parla con lei” trova il suo filo conduttore nelle voci narranti. Quella di Benigno soprattutto, che mentre la massaggia, le taglia i capelli, la lava, le passa lo smalto sulle unghie, “conversa” con Alicia di tutto: attimi, emozioni, storie, l’intera, straordinaria sequenza del film muto “Amante menguante” (nitidezza di immagini alla Tod Browning per una storia alla Jack Arnold: si potrebbe intitolarlo “The Incredibile Shrinking Lover”), dove Almodóvar realizza la sua scena d’amore più tenera e assoluta. La parola tesse tutto, anche l’incapacità di Marco di parlare con l’immota Lydia, un flusso d’amore costante e interminabile, anche davanti a una tomba, anche in solitudine, che danza di pari passo all’onda amniotica delle immagini.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 14 del 2002

Autore: Emanuela Martini

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