Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
DANCE, DANCE, OTHERWISE WE ARE LOST (Pina Bausch)
Parla con lei è una storia sull’amicizia tra due uomini, sulla solitudine e sulla lunga convalescenza delle ferite provocate dalla passione. E’ anche un film sull’incomunicabilità fra le coppie e sulla comunicazione. Sul cinema come argomento di conversazione. Su come i monologhi di fronte a una persona possano essere una forma efficace di dialogo. Sul silenzio come “eloquenza del corpo”, sul film come veicolo ideale nelle relazioni tra le persone, su come un film raccontato a parole possa fermare il tempo e insinuarsi nella vita di chi lo racconta e di chi lo ascolta
Pedro Almodovar
Dunque parla con lei, con lui, con loro, raccontare, raccontarsi, con le parole e con il corpo.
Pina Bausch parlava con il corpo,il ritorno alla verità del corpo nudo che recupera una naturalità interrotta dalla civilizzazione, possono lasciare un passaggio, permettere allo spirito di liberarsi.
Era il 2002 e Almodovar apriva il film con lei, una sequenza da Café Muller che parla di solitudine, abbandono, un muoversi barcollando nello spazio ingombro di sedie, sbattere contro il muro e cadere a terra esanime.
Pina morì otto anni dopo, quattro giorni incredibili e la malattia fulminea la portò via.
Wim Wenders le dedicò nel 2011 un film capolavoro, Pina.
Oggi una rassegna su Almodovar ci riporta in sala un film di delicata e tragica bellezza.
Due uomini s’incontrano durante lo spettacolo di danza, Benigno, infermiere, nota che Marco, seduto vicino, piange.
Poi il caso fa il resto. I due s’incontreranno nella clinica dove Benigno cura amorevolmente (è il caso di dirlo) la donna che ama di nascosto, una ballerina in coma da quattro anni che lui spiava da tempo all’uscita dalla scuola di ballo di fronte a casa sua.
Marco approda in clinica al seguito di Lydia, famosa torera incornata all’inizio della corrida da un toro di 500 chili che non avrebbe mai dovuto affrontare.
Intorno al corpo, “problematico simbolo di una condizione puramente umana” e pertanto incompleta e deficitaria, in perenne ricerca di una felicità legata al carattere e alla connessione strettissima di questo con l’interiorità, Almodovar costruisce un teatro sinestetico per eccellenza per questa comunicazione tra i sensi e per le “suggestioni multiple” da cui la creazione si origina.
Sinestesia di parole e musica, dialoghi silenziosi e corpi immobili nello spazio, danza di movenze armoniose e danza tragica della muleta davanti al toro. Il gesto, la parola, il suono, i colori, la musica: ciascun linguaggio concorre a comporre il mosaico di una creazione in cui anche lo spazio, gli oggetti di scena, i colori, i suoni, la voce, le percezioni sensoriali “agiscono “.
Ma l’azione, nel senso proprio del termine, è delegata ai due uomini, le donne giacciono in uno stato catatonico profondo di fronte al quale Benigno e Marco si muovono con nette differenze legate al carattere, al vissuto personale, alla capacità di superare le strettoie della comunicazione convenzionale.
Tornando a Cafè Muller della Bausch, vero e proprio manifesto cui Almodovar affida le sue intenzioni più forti, “... nel surreale caffè vuoto, dal dominante bianco e nero, nel rarefatto silenzio violato dal tonfo lugubre delle sedie che precipitano confusamente a terra, lo spettatore sperimenta una dimensione onirica dove tanto i corpi quanto gli oggetti – sedie, tavoli, porte, pareti – sono strumenti comunicativi, trasmettitori di tensioni e dinamiche continuamente in bilico fra moto e stasi, accelerazione e decelerazione. Le emozioni deflagrano nel compulsivo incontro/scontro di figure enigmatiche, di personaggi che come sonnambuli sembrano trascinare una sofferenza ancestrale, il cui silenzio si frantuma a tratti nella disperata malinconia delle note di Henry Purcell (The Fairy Queen; Dido et Aeneas)” (S.D.G.).
Il tragico esito di una delle due vicende è l’inevitabile confluenza di convenzioni sociali, pregiudizi del buon senso comune, dichiarata impossibilità di collocarsi oltre, fuori, nel territorio dell’inesplorato, territorio che il cinema può esplorare per quel tacito patto con lo spettatore che lo affranca dalle sancite norme del vivere sociale e gli permette di andare verso altri mondi.
In una composizione chiastica, la donna dell’uno torna a nuova vita e riporta la vita nella solitudine (sinonimo di morte) dell’altro, la morte del secondo si completa nella morte dell’altra, quasi che la vita, per rinascere, abbia bisogno di un sacrificio espiatorio.
Le note ritmate di un paso doble chiudono il film con una teoria di coppie riprese di spalle che attraversano lo schermo da sinistra a destra.
E’ il trionfo di Amore? E’ la danza della vita.
DANCE, DANCE, OTHERWISE WE ARE LOST (Pina Bausch)
www.paoladigiuseppe.it
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