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Parla con lei

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Parla con lei

di Kurtisonic
10 stelle

Dopo avere scandagliato il multiforme universo femminile ed avergli dato voce, questa volta P.Almodovar si dedica all’ascolto del maschio, e firma forse un irripetibile capolavoro. Parla con lei è una delle più grandi dichiarazioni del bisogno di amare, di dedicarsi a qualcuno o qualcosa che sta al di fuori di noi stessi, che se anche si manifesterà irraggiungibile dona il senso dell’esistere, del significato del vivere. Almodovar controlla alla perfezione la messa in scena, calcola e misura tutte le possibilità espressive e fisiche dei suoi personaggi, rimanendo nel terreno melodrammatico non semplifica il suo contenuto emotivo, ma esplora dettagliatamente sfumature  e comportamenti riscontrabili nella realtà quotidiana. Il film che si apre riprendendo una coreografia di Pina Baush che riassume simbolicamente in breve quello che la vicenda offrirà, si snoda attraverso la presenza di quattro personaggi. L’infermiere Benigno assiste in ospedale da quattro anni la giovane Alicia, in stato di coma permanente dopo un incidente d’auto, entra in contatto con l’aitante giornalista Marco che a sua volta è al capezzale  di Lydia, una torera di cui è innamorato e che si trova nello stesso stato vegetativo. Dunque la presenza femminile è puramente decorativa, il corpo delle due donne molto diverse fra loro è il testimone contemplativo dello sforzo dell’uomo di uscire da sé, e finalmente dare voce al cuore. Se nei suoi lavori precedenti la normalità è costruita dall’incontro di trasgressioni differenti, Parla con lei riconduce lo spettatore all’interno di un quadro riconoscibilissimo che necessita però della messa a nudo dell’elemento maschile abbandonato e irrimediabilmente sedotto dalla forza interiore femminile. Almodovar riprende temi che gli stanno più a cuore, attraverso la trasformazione sociale evidenzia il percorso della scienza medica con i suoi codici etici, i nuovi dilemmi morali, la demarcazione individuale dentro i propri intimi confini entro i quali si alimentano la capacità di vivere, di amare, di soffrire, di come accettare l’idea di una fine, anche delle proprie passioni. Il personaggio meno approfondito dei quattro risulta Alicia, di cui attraverso flashback si vengono a sapere poche cose, lei è deputata ad essere il semplice e immaginifico oggetto del desiderio, il suo corpo e la sua bellezza sono la visione assoluta dei sentimenti nascosti, degna di una statuaria spiritualità rappresenta la bellezza perduta della vita. Lydia, assai più complessa e vitale, ha una fisicità quasi androgina, la sua carriera di torera interrotta da una terribile incornata durante la corrida denuncia la società machista, la contraddizione di un ruolo femminile all’interno della società entro la quale la donna fatica ancora a ritagliarsi il giusto spazio. Il regista usa  la figura di Lydia per distruggere il mito, la tradizione e la storia spagnola che solo grazie al suo sacrificio ne sottolinea la fine tragica, l’istinto di morte, l’insensatezza, elementi che non potevano essere sradicati se non da una donna così passionale. Marco, prototipo maschile esteriore e moderno, non riesce a parlare con quello che resta di Lydia, non le confessa i suoi sentimenti, troverà inutile il dialogo con chi non può sentire. In realtà vediamo in sequenze precedenti all’incidente che Marco trattiene le proprie emozioni, è restio a scambiarle e a confrontarsi, animato dal consueto mascheramento egocentrico teso a nascondere dubbi ed insicurezze. Benigno è considerato un sub normale, presunto omosessuale, fisicamente amorfo, esteriormente autistico, insomma un pregiudizio vivente,  invece è colui che sa parlare, che conosce meglio di tutti l’altra metà del cielo, non ha paura di rivelarsi, forse di rispecchiarsi, attraverso l’amicizia con Marco troverà la consapevolezza della natura dei suoi sentimenti e fornirà all’amico gli strumenti emotivi per crescere, per uscire da sé. Benigno, ha sempre vissuto con la madre che venerava fino alla sua morte, per poi posare la sua attenzione su Alicia, della quale non conosce quasi niente ma l’ irraggiungibile e particolare condizione in cui si trova la giovane donna gli è necessaria per liberare la sensibilità, l’affettività e il bisogno di amore di cui è capace. Il conflitto emotivo di Marco e Benigno si realizza pienamente nell’esplicazione della storia, senza che l’elemento narrativo prenda il sopravvento sui personaggi e viceversa, creando un’atmosfera sospesa che inchioda lo spettatore davanti a una vicenda entro la quale l’umanità, l’amarezza, il doloroso e indispensabile bisogno d’amore toccano le corde più intime. Da non confondersi però con un programmato effetto da fazzoletto, il melodramma classico non contempla affatto ribaltamenti convenzionali, intoppi psicologici, forti ambiguità conflittuali che si scontrano con il metro di giudizio dello spettatore. Alla pari dei precedenti  Carne tremula e Tutto su mia madre, anche Parla con lei appartiene ad una fase in cui il cinema di Almodovar si avvicina alla forma classica e alla rappresentazione più omogenea, ma al suo interno cresce un estremismo emotivo ugualmente colorato e dirompente, come se la provocazione più grande fosse il ritrovamento o la spiegazione di una normalità perduta. L’inserimento delle sequenze del film muto che Benigno ha visto e che racconta ad Alicia traducono la finzione nella realtà più scabrosa e discutibile, ma che eleva la vicenda su un piano morale di forza e intensità assolute. Se grazie a Benigno, Marco riuscirà a conoscersi meglio e a dare forma al suo bisogno d’amore, il finale che i critici più severi hanno ridotto alla definizione di happy end, in realtà offre indicazioni molto diverse da quelle evidenziate dalle immagini. Se tutta la vicenda è cadenzata lungo le sequenze dai titoli che riguardano l’intreccio amoroso fra i personaggi, è proprio l’epilogo che avvicina i superstiti della vicenda a realizzare un estremo spiazzamento dentro la storia, aprendo nuovi scenari dagli sviluppi interiori niente affatto certi, il cui titolo che non si vede dovrebbe contenere i nomi dei due uomini.  La profondità del sentimento di amicizia fra i due, nel tempo si è rafforzata e materialmente ha sostituito le altre relazioni, verrà tenuta in vita e fissata  dall’azione di Marco che in una solidale partecipazione affettiva con l’amico si “appropria” dell’oggetto amoroso dell’altro, come per proteggerne la purezza e l’essenza espressa da Benigno, formalizzando così una intimità più completa e allargata che va perfino oltre le più consolidate relazioni amorose.

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