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La donna del ritratto

Regia di Fritz Lang vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La donna del ritratto

di jonas
10 stelle

Il criminologo Richard Wanley, dopo aver accompagnato alla stazione moglie e figli, va a cenare al suo club. Una vetrina lì accanto espone il ritratto di una bellissima donna, che lui si ferma a guardare sia all’entrata sia all’uscita; la seconda volta viene però inopinatamente avvicinato dalla donna in carne e ossa, che lo invita a casa sua. Mentre i due stanno bevendo sopraggiunge un uomo che li aggredisce; Wanley lo pugnala e, nonostante si tratti di legittima difesa, decide di nascondere il cadavere senza avvertire la polizia. Nei giorni successivi si apprende che l’uomo era un finanziere malato di nervi e Wanley, amico del poliziotto che conduce le indagini, rischia a ogni istante di tradirsi. Uno scagnozzo del morto, che ha scoperto tutto, ricatta la donna; lei cerca di ucciderlo senza riuscirci; l’uomo rimane però vittima di uno scontro con la polizia, che gli scopre addosso le presunte prove della sua colpevolezza per il delitto del finanziere. La donna telefona a Wanley per dirgli che non hanno più nulla da temere, ma è troppo tardi: si è appena avvelenato. Colpo di scena: è stato tutto un sogno, un cameriere sveglia Wanley che si era addormentato in poltrona dopo cena (scena realizzata senza stacchi e senza tagli, solo stringendo e poi allargando l’inquadratura). Uscendo dal club, riconosce nel guardarobiere e nel portiere i personaggi del finanziere e del ricattatore all’interno del sogno; si ferma ancora davanti al ritratto, una donna gli chiede da accendere ma questa volta lui se la fila a gambe levate. Con una battuta, il film può essere definito la versione drammatica di Quando la moglie è in vacanza: una volta cadute le difese immunitarie indotte dalla presenza dei familiari, ecco che un tranquillo borghese dedito a noiose conversazioni in compagnia di soli uomini diventa un potenziale omicida. Il confine tra innocenza e colpevolezza è spaventosamente sottile (come del resto quello tra farla franca e venire scoperti: terrificanti i lapsus con cui Wanley rivela involontariamente ciò che sa, e che gli amici buttano sullo scherzo): a varcarlo basta un nulla, basta accettare l’invito (un po’ malizioso, certo, ma non apertamente mercenario) di una femmina tentatrice. Perciò il film fa paura, perché all’occasione tutti possiamo diventare Wanley: una consapevolezza così forte che neanche il tipico finale razionalizzante e (ironicamente) moralistico basta a esorcizzarla. Per la sua capacità di scandagliare il fondo dell’animo umano e svelarne l’ambiguità l’opera rappresenta forse il vertice del cinema di Lang, assecondato del resto da due interpreti straordinariamente in parte come Robinson e la Bennett (poi riutilizzati in modo simile in La strada scarlatta).

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