Regia di Amarsaikhan Baljinnyam vedi scheda film
Ogni tanto, come ninnoli per occidentali sognanti spazi e cieli infiniti, filtrano questi prodotti mongoli (o di nazioni limitrofe), che poi i festival indorano insieme ai recensori di mezzo mondo, trasformando film più o meno folkloristici (e furbi) in pseudo capolavori, che spesso non sono. Questo è il caso di "L'Ultima Luna Di Settembre", titolo poetico per un film spacciato per poesia, inerte come spesso sono questi film, che poggia tutto il suo fascino sui paesaggi, indiscutibilmente potenti, visto che le storie sono minimali e noiosette. La buona cosa è che non soffrono dell'ipertrofismo occidentale, e quindi durano il tempo dei cari vecchi novanta minuti. Quello che abbiamo è la storia di un'amicizia fra un ragazzino pastore e un adulto di città, entrambi orfani di padre, che incontratisi nel bel mezzo di una dolce vallata mongola, trascorrono il tempo della fienagione a conoscersi. Attorno a loro, la vita pastorizia mongola, con le sue tradizioni e il suo folklore, appena intaccata dall'avvento del progresso meccanico. Film arioso, certamente, ma con sentimentalismi triti e ritriti (fino all'insopportabile finale), penalizzato oltre ogni limite dal doppiaggio italiano (almeno questi prodotti andrebbero lasciati in originale con i sottotitoli) che, almeno a me, ha reso antipatico il ragazzino in maniera assurda, con quella stupida voce da cartone animato anni ottanta. Opera sopravvalutata, ad uso e consumo, ripeto, del pubblico occidentale.
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