Regia di Amarsaikhan Baljinnyam vedi scheda film
Dal racconto “Tuntuulei” di T. Bum-Erden, questo film straordinario parla di un mondo antico in via di estinzione per l’arrivo della tecnologia, quella dei macchinari agricoli che rendono inutile il lavoro umano e quella che avrebbe collegato a un’apposita torretta anche i cellulari dei solitari nomadi "senza campo"...
Una telefonata raggiunge Tulgaa (Amarsaikhan Baljinnyam), a Ulan Bator, la città della Mongolia nord orientale in cui lavora: qualcuno lo avvisa delle disperate condizioni del vecchio padre, che rendono urgente la sua presenza.
Nessuno si sta occupando di assisterlo e di curarlo, viene detto, ma la linea presto cade e riprenderla è impossibile.
La scena che cambia rapidamente ci mostra quali sforzi acrobatici permettano la connessione telefonica nella stepposa e disabitata regione dell’’Hentij, altopiano desertico – 1700 metri di altitudine – della Mongolia, dove, come si diceva un tempo, “non c’è campo”. Bisognerebbe raggiungere la cima più alta della catena montuosa che chiude la regione, ma quando non c’è tempo da perdere ci si arrangia, come si può, per telefonare: un cavallo; un uomo in piedi sulla schiena dell’animale; un lungo e - si spera - robusto bastone a cui è legato un cellulare che l’uomo fa oscillare nell’etere finché il “campo” trovato, infine, rende possibile la telefonata.
La scena, straordinaria e surreale, ci introduce rapidamente nel cuore del film: l’arrivo di Tulgaa, le sue attenzioni compassionevoli e delicate, il suo dolore silenzioso alla morte del vecchio e la sua decisione di rimanere per qualche tempo in questa campagna, nella iurta paterna, ovvero nell’abitazione mobile in legno, tipica dei nomadi della zona, che sono pochi e raramente si incontrano: solitari e lontani vivono e muoiono, infatti, gli abitanti dello spazio infinito e arido dell’Hentij.
Tulgaa avrebbe cercato di completare, prima dell’arrivo del gelido ottobre, il raccolto di fieno, come il vecchio aveva promesso, a beneficio della scuola locale.
Sull’altipiano, Tulgaa aveva incontrato un frugoletto di dieci anni vivace e monello, Tuntuulei (Tenuun-Erdene Garamkhand). Dapprima ruvido e difficile, l’incontro sarebbe presto diventata un’amicizia solidale e tenera: l’uomo stava riconoscendo se stesso nella storia dolorosa di quel piccolo girovago, come lui cresciuto senza padre, come lui figlio di un amore fugace e come lui lasciato a se stesso.
Tuntulei, che era stato affidato ai nonni dalla madre, poco presente perché costretta per vivere a lavorare in città, aveva stabilito con Tulgaa un legame speciale: gli si era affidato con la stima e l’affetto che si riserva a un padre amato, capace di comprendere e assecondare empaticamente i desideri dei figli nella segreta speranza che diventasse il suo “vero” padre, ciò che confliggeva con la volontà di Tulgaa di tornare in città, ora che il raccolto, non ancora terminato, sarebbe stato concluso rapidamente dalle macchine agricole che la scuola locale aveva affittato, rendendone inutile la prestazione.
Non sappiamo se il mondo silenzioso dell’Hentij, l’affetto per il piccolo Tuntuulei, abbiano pacificato le inquietudini dolorose diTulgaa, conciliandolo con la propria vita; sappiamo che Tuntululei dovrà mettersi a studiare abbandonando l’innocenza di quel settembre incantato.
Un bel film, poetico e insolito.
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