Regia di Emidio Greco vedi scheda film
Un discreto film: il che è la media fra il buono per le intenzioni, ma il mediocre per la resa. Greco ha creato una macchina scenica ingessata. La recitazione, standard (persino anonima anche da parte di un grande come Orlando), si adegua a ciò. Assente è il realismo, la restituzione vitale di temi che pure lo permettevano.
Infatti la rivoluzione, naufragata, intaccava l’ingiustizia secolare della nobiltà: tutti temi che il film mostra, è vero, probabilmente sfruttando a dovere il soggetto, il romanzo illuminista di Sciascia (che chi scrive non ha letto, comunque). Non manca certo la profondità teorica. Manca però ciò che è più importante in una versione cinematografica: la capacità di entusiasmare, di far compartecipare alle vicende dei protagonisti, che pure lottavano per una nobile causa, resa paradossalmente ancor più nobile dal loro fallimento. La tortura finale muove l’indignazione, certo: ma solo quello, che pure si poteva sfruttare molto melgio. Ma il contesto è troppo patinato, (si conceda) commerciale, nell’esibizione del lusso aristocratico, che sembra ciò che qui davvero interessa il regista. L’ingiustizia rimanda al dolore vissuto; in quel caso, anche alla presa di coscienza dei propri privilegi iniqui, di cui spogliarsi, da parete dei nobili. Ma di questa storia vera latita appunto l'interesse umano. Oltretutto l’equivoco (la scoperta di un manoscritto si rivela poi un falso) poteva permettere di giocare su ironia e sorpresa, nonché su più piani: i fatti si prestavano a una trattazione fresca, coinvolgente, che però non c’è.
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