Regia di Emidio Greco vedi scheda film
Leonardo Sciascia ed Emidio Greco: un’osmosi che al cinema funziona. Dopo “Una storia semplice” (1991), il parco regista di “L’invenzione di Morel” e “Un caso d’incoscienza” (solo sei opere in quasi trent’anni), si misura con un altro romanzo dello scrittore siciliano, dagli avventi incredibili, ma veri. Tutto ruota attorno a un frate, che si giova di un incidente (l’ambasciatore marocchino naufraga sulle spiagge ragusane) per salire di rango, seminare costernazione tra l’aristocrazia palermitana, cambiare il verso di una fetta di Storia. Greco ha il merito di non farsi condizionare dagli stilemi contemporanei: la sua trasposizione ha un sapore d’antico, e lo diciamo nella sua accezione migliore; le sequenze scelgono percorsi poco accidentati dai ritmi a cui ci siamo purtroppo abituati e così il suo viaggio nel Settecento (ma anche nell’Oggi) si concede il lusso di fermate non prenotate dalla moda, bensì dall’urgenza di spegnere quella sete disperata che colpisce i curiosi, e chi non si accontenta delle versioni ufficiali. Anche la felicissima scelta degli ambienti, dai magniloquenti interni palermitani al placido naturalismo delle campagne intorno a Noto, contribuiscono ad avvolgere chi guarda col passo che abbisogna: per riflettere ed entrare in un film che vuole suggerire punti di vista e stimolare la discussione. La straordinaria interpretazione di Silvio Orlando sta tutta nella felice contraddizione di due battute: «Rivoluzione: quel levati tu che mi ci metto io» e «Senza il prurito di mettere sottosopra il mondo». Un Oscar per il suo sublime minimalismo.
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