Regia di István Szabó vedi scheda film
Raffinata opera di uno dei più grandi registi ungheresi di sempre, Istvan Szabo, famoso in occidente soprattutto per l’oscar (miglior film straniero) vinto dal suo Mephisto (nel 1981?). Le contapposizioni dei due protagonisti su cui si impernia l’intero film vanno ben oltre le loro antipodiche personalità e possono essere lette su diversi livelli interpretativi. Dopo la seconda guerra mondiale, in Germania è ormai tempo di resa dei conti: Harvey Keitel è un maggiore dell’esercito americano incaricato di scovare criminali di guerra. E’ un duro e un cafone, ma pragmatico ed è decisissimo ad incastrare con ogni mezzo il grande Direttore d’orchestra interpretato da Stellan Skarsgard (quello delle onde del destino di Von Trier) per fare emergere le sue connivenze con il nazismo. Queste connivenze ci sono state, ma forse soltanto di comodo o comunque dovute soltanto alla sua genialità e alla conseguente popolarità, di certo non è emigrato all’estero come altri suoi colleghi prestigiosi. Afferma di aver aiutato a scappare un manipolo di ebrei, ma ammette pure di aver suonato nella cerimonia di un compleanno del Fuhrer. Il regista ha il merito di non voler spiegare da quale parte sta la verità e mantiene volutamente un tono di ambiguità e di ambivalenza. Il conflitto è in realtà tra due universi contrapposti e fatalmente inconciliabili. Il raffinato musicista europeo è portatore di una cultura millenaria che il rude cowboy neppure sa cos’è. E’ il conflitto tra Europa e Usa, in parte giocato nell’ultima guerra mondiale e, presumibilmente, da giocarsi in modo definitivo e tragico in un futuro non troppo lontano Una civiltà americana nata e fortificatasi nelle barbarie e nella sopraffazione contro un’Europa che di certo non ha risparmiato nella sua storia l’uso della violenza, ma che è ricca di un bagaglio culturale ineguagliabile, che puo interessare lo statunitense al massimo come fattore folcloristico a cui dedicare magari una vacanza. Un’Europa che ha provato, anche recentemente, sulla proprio pelle gli orrori di una guerra, contro un paese che ha della guerra il principale prodotto di esportazione. “come facevano i tedeschi a non sapere dei lager?” sbotta il maggiore. “lei non sa cosa significa vivere in paese in guerra”, risponde la sua segretaria tedesca. La stessa che mette sullo stesso piano i metodi delle interrogazioni fatte dalla Gestapo con quelle del maggiore. Lungi dal dimenticare gli orrori ineguagliabili prodotti dal nazismo, occorre rilevare che il rispetto per i prigionieri (non ebrei ovviamente) fatti dai tedeschi è completamente sparito nel codice comportamentale dei marines dei giorni nostri (i talebani di Guantanamo insegnano…). Da rimarcare l’evocatività della prima scena, la sinfonia di Beethoven, suonata da un’orchestra filarmonica in un sontuoso teatro di Berlino intervallata dalle esplosioni delle bombe lanciate dagli aeroplani sulla capitale di un impero ormai sconfitto e a livello più personale l’aver ritrovato, nel ruolo di generale sovietico, Oleg Tabakov ottimo interprete di (Il'ja Il'ic) Oblomov nell’omonimo film di Nikita Mikhalkov tratto dal capolavoro di Goncharov. VOTO 7
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