Regia di Paolo Pisanu vedi scheda film
La mappa del cinema sardo è ben delineata: il capostipite Salvatore Mereu prosegue con autorevolezza il racconto di una Sardegna ancestrale tra antico e moderno; Paolo Zucca rappresenta l’ironia unita alla fantasia; a Sassari sulla scia di Bonifacio Angius si privilegiano storie residuali, rappresentazioni di una Sardegna del Nord in cui il degrado ha prevalso. “Tutti i cani muoiono soli” di Paolo Pisanu aggiunge un tassello importante a questo mosaico contemporaneo della cinematografica sarda. Come Angius, mettere in immagini gli ultimi, chi vive ai margini delle periferie di un mondo dove non c’è spazio per la bellezza e per i luoghi comuni è ammirabile a prescindere. La storia di Rudi è l’archetipo di un uomo che porta la sua croce di piccolo ras di periferia che taglieggia uomini ed esercizi commerciali già segnati da una crisi perenne. Lo fa per strade, luoghi, paesaggi dominati dalla disgrazia e dallo squallore asettico. Rudi ha una figlia in progressivo stato neurovegetativo, salvarla da una condizione irreversibile diventerà la sua missione disperata.
Il cinema di Pisanu sembra arrivare dal Sud Corea di Kim Ki-duk, sa anche di noir dal ritmo rarefatto, grazie all’apporto del sound designer e delle musiche di Riccardo Gasperini. E’ soprattutto un cinema contro tutto e contro tutti, in primis contro certe consuetudini cinematografiche, come se fosse obbligatorio compiacere lo spettatore medio oppure accalappiarlo con furbizie e strizzatine d’occhio. Il regista nel ritrarre il protagonista, una sfinge impenetrabile, interpretato con durezza da Orlando Ercole Angius, pare aver introiettato la lezione dei noir francesi di Melville. Il rapporto di ruvida amicizia con l’amico Pietro (Alessandro Gazale) è all’insegna della diffidenza ben celata e dei sogni infranti esposti attraverso dei dialoghi che sono degli haiku di dolore. La ricerca del sacro, apparentemente casuale (la fissità di una madonnina e un rosario improvvisato), rientra nel cammino di perdizione/redenzione. Nella descrizione degli ambienti, oltre il cinema sud coreano citato e si potrebbe proseguire con i richiami, emerge una sostanziale urgenza di far vedere (e Mario Piredda con “L’ Agnello” lo aveva già fatto) un’altra isola. Non venite in Sardegna, non c’è niente da visitare né da saccheggiare. Pianto, stridor di denti e regolamenti di conti vigono anche nella nostra amara terra.
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