Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Kinds of Kindness: < 0.
Al contrario di “Magnolia” (opera minore, ma non piccola) nel curriculum di PTA, questo “Kinds of Kindness” può essere considerato un film “piccolo” (girato con 15 mln/$ durante il montaggio di “Poor Things”) per Yorgos Lanthimos (“Uranisco Disco”, “Necktie”, “Nimic”, “Vlihi”), ma non minore [↔ Esperimento (sull’Obbedienza all’Autorità) di (Stanley) Milgram con soggetti consapevoli e bendisposti + Do££aro “coercitivo” ↔ Sindrome di Capgras (“the Echo Maker”, “Synechdoche, New York”, “Hannibal: Buffet Froid” e “GoodNight Mommy”) + Cannibalismo di facciata ↔ Sette Millenariste + Miracoli Crudeli per contropartita entropica ↔], oltre che il più lungo [con i 3 ep. che passano in progressione dall'iper-realismo (grottesco), all'ir/sur-realismo (psichiatrico) per sfociare nel fantastico (religioso) "puro"] nel complesso della carriera del regista [che esordì in a solo condiviso con Lakis Lazopoulos per “O Kalyteros Mou Filos” e con Yorgos Kakanakis per “Kinetta” e in seguito ebbe la recente parantesi con Tony McNamara per “the Favourite” (condivisa con Deborah Davis) e “Poor Things”, in attesa del “Bugonia” scritto da Wil Tracy traendolo da Jang Joon-hwan], il quale in questo caso torna a collaborare con Efthymis Filippou, il suo sceneggiatore “storico” (“Kinodontas”, “Alpeis”, “the Lobster”, “the Killing of a Sacred Deer”), dando nuova linfa alla definizione di repulsività: più respingente che ripugnante, o anche l’incontrario, ma certamente bello (a parte il finale dodge-challenger telefonatissimo), con un cast -[gli 8 attori principali che interpretano ognuno un personaggio differente nei 3 diversi episodi – un Jesse Plemons chirurgico, millimetrico, allorabile ed allorato, una Emma Stone ulcerosa e a tratti autenticamente geniale (le espressioni che le storcono il volto quando in veranda intercetta con lo sguardo il marito e la figlioletta), un Willem Dafoe abbastanza grandioso, con accenni mickjaggereschi, una Margaret Qualley (che di personaggi ne interpreta 4 e non 3) generosamente sorprendente come d’abitudine e le ottime prove di Mamoudou Athie, Hong Chau e Joe Alwin, con Yorgos Stefanakos che cameizza R.M.F., vittima sacrificale su base volontaria (the Death of...), pilota d’elicottero (...Is Flying) e lazzaro sbrodolone (...Eats a Sandwich) sui post-credits – più una Hunter Schafer assai indimenticabile, tutti al loro meglio]- e una crew -[fotografia limpida e articolata di Robbie Ryan, montaggio perfetto e preciso di Yorgos Mavropsaridis, musiche potenti ("King Lear") di Jerskin Fendrix (ovvero Joscelin Dent-Pooley) e scenografie complesse, espressive e realistiche di Anthony Gasparro]- da urlo e il siparietto dei titoli di coda del 2° ep. che da solo vale la visione [mentre quelli del 1° sono una variante (ancor più) malsana di “Poor Things” e quelli del 3° sono talmente paradigmatici da non risultare in alcun modo usurati dal teaser trailer sulle note non della “Sweet Dreams (Are Made of This)” degli Eurythmics ma della “Brand New Bitch” di Clara Blom Christensen, aka COBRAH].
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