Tre episodi con cui Lanthimos ritorna allo sperimentalismo delle origini: purtroppo stavolta il surrealismo grottesco, le morbose ossessioni e la ricerca dell'effetto repellente scadono nella sterile provocazione e nel manierismo stucchevole.
Tre episodi , legati nei titoli dalla sigla R.M.F. : nel primo un impiegato è succube del capo che gli impone di causare incidenti stradali mettendo a rischio la propria vita, nel secondo un poliziotto paranoico si convince che la moglie sopravvissuta a un naufragio sia in realtà una sostituta che ne ha assunto le sembianze, nel terzo gli adepti di una setta cercano una donna dotata del potere taumaturgico di resuscitare i morti.
Lanthimos ritorna al surrealismo beffardo e al gusto dell'assurdo dei suoi film greci (infatti il film lo ha scritto con il connazionale Efthymis Filippou, già coautore di
Dogtooth) e, dopo una serie di pellicole più attente alle aspettative del pubblico e al successo di botteghino, si toglie lo sfizio di tornare allo sperimentalismo delle sue origini, seppur con un budget e un cast hollywoodiani. Ancora una volta il regista pone al centro le sue morbose ossessioni (il dolore fisico, il sangue, le mutilazioni, il cannibalismo, i rapporti spietati di potere e dipendenza) e la ricerca dell'effetto shock o repellente, purtroppo fine a se stesso, tra dita tagliate e fegati estratti dal fianco con i coltellacci da cucina. Mentre in altre sue pellicole come
The Lobster le stramberie e l'umorismo nero erano inserite in un contesto narrativo capace di stimolare e affascinare, qui risultano irritanti e ripetitive (la tripartizione delle storie non aiuta). Nonostante la raffinatezza a cui è giunto lo stile dell'autore, questa volta la ricerca compiaciuta del grottesco e della gratuita crudeltà, ironico ribaltamento della gentilezza evocata dal titolo, fa presto a scadere nella sterile provocazione e nel manierismo stucchevole.
Nei tre episodi ricorrono gli stessi attori in parti diverse (Jesse Plemons, Emma Stone, Willem Dafoe, Margaret Qualley, Yorgos Stefanakos, Hong Chau, Mamoudou Athie). Un camaleontico Plemons ha vinto il premio della miglior interpretazione maschile a Cannes e la Stone, nuova musa dell'autore, è sempre brava, ma non bastano certamente questi interpreti a salvare la pellicola. Willem Dafoe, così ben usato come scienziato pazzoide in
Poor Things, qui è invece sprecato in tre particine insulse.
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