Regia di Andy Warhol vedi scheda film
I film di Warhol, non allineandosi alla forma e all'estetica istituzionali, sono chiaramente dei discorsi a parte nel panorama cinematografico. Soprattutto quando irrompono nel genere. E nel "genere" per eccellenza, il western. In uno sperduto villaggio dell'Arizona, che è più vicino a una ghost town che ad altro, arriva un gruppo di bei cowboys, icone di una salute fisica, di una leggerezza e spensieratezza di vita, di gioventù e sesso libero che non possono lasciar indifferenti: sono gay. Parecchi anni prima che Ang Lee irrompesse con prepotenza nell'immaginario western con i suoi cowgays, Warhol aveva già voluto ribaltare il mito della Frontiera prendendolo per il suo tallone d'Achille taciuto e criptato da sempre, appunto l'omosessualità. Non essendo, questa, un'integrità morale, non dovrebbe far parte della semantica del vecchio West che è tutto testosterone, forza, moralismo, asservitismo, eccetera. Questo comunque a parer degli americani, e non di tutti. Se infatti guardiamo ai nostri western spaghetti, ai film di Peckinpah, di Monte Hellman, e poi di Eastwood, avvertiamo subito che il mito della Frontiera, inteso come fondatore dei valori morali di quella che s'è autodefinita (con che coraggio!) Nazione segnata da Dio, è messo in chiara discussione. Warhol ha fatto giusto la sua parte rappresentando molto bene, anche se avrei preferito qualche audacia in più ma con l'FBI fascista sul set come potevano girare in piena libertà?, rappresentando molto bene, si diceva, l'equazione semplice ma imbarazzante secondo cui il cowboy amando se stesso, il suo stile di vita, la sua solitudine maschia, il suo cavallo e la sua pistola (due simboli fallici per eccellenza), finisce per amare il suo simile, ovvero l'altro cowboy. Un esempio è la lotta tra tre di loro che è più simile a un'orgia che ad una lotta vera e propria, come tra l'altro è nella realtà inconscia di ragazzi che tra loro giocano alla lotta. E' dopotutto la ricerca di quel contatto fisico tanto necessario all'uomo per sentirsi felice. Molti sono i film western che ammiccano a questa sotterranea dinamica insita nel mondo interno del pistolero, lasciando invece in superficie, per chi non ha voglia di mettersi in discussione, il mondo esterno e più rassicurante dell'epopea western: la caccia ai banditi, la lotta con gli indiani, il focolare domestico da difendere, la famiglia da costruire, la legge da far rispettare e via così. Warhol chiaramente, grazie alla bellezza statuaria di Joe Dallessandro, qui al suo debutto, o di Tom Hompertz, riesce a insinuare un brivido di piacere anche a eterosessuali convinti, a pistoleri irriducibili e a chiunque sa che il fascino della Frontiera è soprattutto il fascino dell'ignota avventura che ci attende e dei suoi ignoti risvolti. Lo scavo interiore quindi è in linea con le dinamiche più profonde dei western più adulti, anche se la resa cinematografica sperimentale tipica della factory di Warhol, porta il risultato finale del film in altre direzioni.
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