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Alì

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Alì

di FilmTv Rivista
8 stelle

C’È qualcosa dI cosÌ ampio, nel cinema di Michael Mann, che non si riesce a cogliere, perlomeno a una sola prima visione. Perché come tutti i suoi film, anche “Alì” deve essere visto più volte. Per comprendere che la visione che Mann dà del mondo ci tocca nel profondo più di quanto possano fare cento altri registi. Per accorgersi che la realtà, come dice lui stesso, è totalmente riproducibile, secondo la ricerca incredibile di un’autenticità che si traduce nella costruzione di un universo fondato su linee, piani, pezzi sfocati, illusori, riflettenti, veloci, dentro il quale l’uomo si perde, vivendo. Il dettaglio, nel cinema di Mann, diventa principio di esistenza, con tutto quello che comporta, cioè, soprattutto, una vita fatta di mille cose che non riescono a trovare una sistemazione. “Alì”, che non è una cinebiografia come potrebbe apparire, pur mettendo in scena gli avvenimenti della storia di Muhammad Alì nella decade ‘64-’74 con adesione maniacale a fatti, persone e luoghi, sconvolge per la monumentalità dello sguardo e del respiro, tipicamente manniani. Dentro “Alì” c’è la paura dei cambiamenti in atto, rivoluzionari e mai finiti, del contesto e della personalità, come da “Strade violente” fino a “Insider”. E Mann ce la fa vedere e sentire, quella paura, attaccandosi, come sempre, ai personaggi, ai loro volti, guardando nei loro occhi, con uno stile inconfondibile, unico, fatto di sfocature, angoli, ralenti. Ci sono momenti di inaudita forma cinematografica, pura perfezione linguistica: i dieci minuti iniziali, incredibili, con un medley di brani di Sam Cooke/David Elliott; il primo incontro sul ring con Liston; un paio di leggerissimi movimenti al ralenti nel “Rumble in the Jungle” finale con Foreman, che lasciano a bocca aperta. Che l’Academy abbia quasi trascurato “Alì” per gli Oscar 2002 è un affronto, e la conferma di quanto grande e fuori fuoco sia il suo autore; ma se Jon Voight nel ruolo del giornalista Cosell non si porta a casa la statuetta, sarebbe oltremodo offensivo. Pier Maria Bocchi

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 100 del 2002

Autore: Pier Maria Bocchi

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