Regia di Giuseppe Ferrara vedi scheda film
Parabola umana, finanziaria e giudiziaria di Roberto Calvi (Antonutti), presidente del Banco Ambrosiano, arrestato per bancarotta fraudolenta e infine trovato ucciso impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. Il film di Ferrara (scritto a quattro mani con Armenia Calducci) racconta in maniera quanto mai farraginosa e didascalica i rapporti che Calvi ebbe con lo IOR - la banca vaticana - con Gelli e la P2, con i servizi segreti americani, la mafia, i vertici della politica (impersonati con inconsapevole piglio caricaturale da veri e propri sosia dei vari Craxi, Andreotti, Forlani, il famigerato CAF di allora) e l'Opus Dei. Nonostante le immagini d'epoca e le numerose didascalie, la vicenda ne esce in maniera discontinua e rapsodica e stavolta Ferrara, che del cinema civile ha fatto una sorta di marchio di fabbrica, rende assai meno di quanto non avesse fatto con le biopic di Dalla Chiesa, di Aldo Moro e di Giovanni Falcone. Il suo rimane un cinema che parla un linguaggio elementare, ignaro delle pur minime regole di ripresa, montaggio e recitazione, impermeabile a qualsiasi tentazione di professionismo. Stavolta però il registro amatoriale dei suoi film raggiunge l'apice, con un cast di livello parrocchiale nel quale persino Giannini recita malissimo e che ha in Pamela Villoresi - imperdibile! - la sua stella, tanto è strabiliante l'infimo livello dell'interpretazione della moglie di Calvi. A tutto ciò si aggiunge la vocazione di Ferrara a far sembrare sempre i suoi personaggi dei martiri, a umanizzarli anche nei loro aspetti più deteriori, sintomo dell'assoluta preoccupazione di parlare di questioni scottanti senza doversi mai fare dei nemici, come in maniera inequivocabile mostra la didascalia che annuncia: "per doveroso rispetto, il volto del Santo Padre non compare nel film". Salvo poi - giustamente - mettere in bocca a Woijtyla delle frasi agghiaccianti.
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