Regia di Giuseppe Ferrara vedi scheda film
“Questo film è dedicato a Gianmaria Volontè” titola l’apertura de I BANCHIERI DI DIO, poi si parte su Nassau (Bahamas) 1976. Calvi, Gelli, Marcinkus che gioca a golf in una stanza, Sindona che dorme su una poltrona…arriva un americano che parla di pericolo di deriva comunista per l’Italia, ”è essenziale il CORRIERE DELLA SERA” si vocifera. Insomma la futura loggia P2 tesse le trame che da lì a pochi anni saranno di pubblico dominio. Calvi si reca in Vaticano dove Papa Wojtyla è a colloquio con Andreotti. Una didascalia avverte PER DOVEROSO RISPETTO, IL VOLTO DEL SANTO PADRE NON COMPARE NEL FILM, però in compenso ne viene malamente imitata la voce, inoltre le scene in cui compare il Papa sono le più esilaranti, involontariamente comiche e dunque per niente rispettose dello spettatore e se vogliamo dello stesso pontefice polacco, del quale emergono comunque le responsabilità chiamate IOR. Ci si attenderebbe dialoghi e recitazioni verosimili o perlomeno serie e invece da subito assistiamo a caricature degli originali e imitazioni stile Pingitore (quello del Bagaglino ormai defunto), in primis dei sopraccitati Andreotti e Giovanni Paolo II. Tratto dall’omonimo libro inchiesta di Mario Almerighi, il regista Giuseppe Ferrara dilapida la ricostruzione dettagliata e molto accurata fatta dal giudice scrittore in un assemblaggio dilettantistico della vicenda Calvi. La scoperta della lista P2, l’arresto e la detenzione, i faccendieri Pazienza e Carboni, il ruolo di quest’ultimo nella fuga per mezza Europa del banchiere del Banco Ambrosiano fino alla morte sotto il ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982. Sino all’89 venne ritenuto un suicidio dalle autorità londinesi e italiane, in realtà l’idea dell’omicidio è sempre trapelata ufficiosamente innanzitutto per motivi tecnici (l’impossibilità del suicidio sotto il ponte) e soprattutto per i segreti importanti che il banchiere custodiva. Egli finanziò paesi sudamericani e Solidarnosc in chiave anticomunista, era il braccio finanziario della Loggia Propaganda 2, il famoso biglietto “questo processo si chiama IOR”, il controllo del primo quotidiano italiano, i legami con la banda della Magliana etc. Della figura di Calvi emerge la fragilità, l’ombrosità diffidenza caratteriale, la facile manovrabilità e ad un certo punto ingannato e abbandonato da tutti la solitudine disperata. Omero Antonutti lo interpreta bene con i suoi occhi da furetto e la consolidata professionalità ma stride nel contesto ricostruito dal regista. Scenari e ambienti sono di una disarmante povertà stilistica. Pamela Villoresi nel ruolo della moglie Clara è insopportabile e sempre sopra le righe, Alessandro Gassman/Pazienza inadeguato e poco credibile, Rutger Hauer/Monsignor Marcinkus troppo ambiguo, Giancarlo Giannini che fa il faccendiere sardo Flavio Carboni (ancora attivo) offre la peggiore interpretazione della sua lunga carriera: il trucco, l’accento e le smorfie ne accentuano la ridicola immedesimazione. Anche per l’autore de IL CASO MORO è uno dei punti più bassi della sua filmografia dedicata al cinema d’inchiesta e d’impegno civile, per l’ansia di non trascurare nessun dettaglio, inghippo, intrigo e personaggio crea solo confusione e rabbia per la clamorosa occasione sprecata. Da cestinare pure le musiche di Pino Donaggio.
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