Regia di Robert Altman vedi scheda film
Chi meglio di Julian Alexander Kitchener-Fellowes, barone di West Stafford e membro della Camera dei Lord poteva restituire un frammento di vita dell'aristocrazia inglese con tanta dovizia di particolari? Una ricca magione di campagna, i suoi tenutari, gli ospiti illustri della nobiltà britannica, la servitù indaffarata tra pranzi luculliani e un'etichetta ineccepibile ci appaiono nelle loro studiate ambiguità, filtrati dalle focali di Robert Altman, presenza alquanto insolita nel whodunit inglese. Ironia della vita che Fellowes scrivesse Gosford Park da attore squattrinato e con un cassetto ricolmo di sceneggiature scartate. Il titolo nobiliare e i soldi sarebbero arrivati dopo l'Oscar e i pingui incassi della sua creatura. La povertà non preclude certo l'appartenenza alla nobiltà ma il passato di Fellowes parlava chiaro. Madre della middle class e lontane ascendenze aristocratiche dal lato paterno non ne facevano, certo, un nobile di rango. Il padre era diplomatico ed aveva, alle spalle, una famiglia astiosa che accettò, con poca benevolenza, una borghese in famiglia. Dell'aristocrazia, dunque, Fellowes fiutò lo snobismo di classe se non proprio il vile odore dei denari. Al contrario, i ricordi appartenenti ad una vecchia prozia, avvezza agli antichi privilegi, furono la ricchezza maggiore che gli fosse toccata in eredità. Un tesoro impalpabile che gli consentì di regalare al cinema un mondo al crepuscolo, frantumato sotto i colpi di cannone di due guerre e sotto il peso del progresso industriale del XX secolo.
La contessa Trentham, se fosse interrogata a tal riguardo, direbbe che il cinema è una depravazione utile alla causa rivoluzionaria. Una sorta di guerra dichiarata verso il mondo precostituito. Ma Fellowes che scelse la settima arte per ritrarre un mondo in declino, non la mise sullo stesso piano, avendo, egli stesso, valicato i rigidi confini delle classi sociali. Un po' upstairs, un po' downstairs. Vivere in una zona di confine gli permise di comprendere due realtà diverse e gettare le basi di una storia fitta di personaggi, spesso riprovevoli, indaffarati ad emergere dal sottosuolo o a rimanere ancorati allo status sociale proprio dei piani alti. Robert Altman rimase probabilmente affascinato dal laido sottobosco di meschini rapporti tesi alla prevaricazione sessuale e sociale tra i soggetti della casa. Fu così che accettò il ruolo di regista in un film perfetto per lui.
La camera di Altman segue vivacemente le posture altezzose degli ospiti di Sir William e Lady McCordle e il brulicante affannoso via vai del piano interrato. I due mondi si sfiorano impercettibilmente grazie ai pettegolezzi che salgono e scendono le scale mentre un curioso e quanto mai indisciplinato valletto sembra poter congiungere le sponde opposte del palazzo. Mentre la matassa dei rapporti si dipana pian piano, portando al pettine i nodi di rapporti interpersonali assai tesi e fondati sul più bieco tornaconto, si sviluppano le sottotrame del giallo. Un ricco ed isolato palazzo di campagna, ospiti e servitori soverchiati dal carattere spigoloso e privo di compassione del padrone di casa, svelano pian piano vittima e possibili moventi mentre ad una giovane ed inesperta cameriera tocca il compito di fare luce su un mistero che un ispettore servile e sbruffone non riesce a risolvere.
Per Robert Altman il giallo è un gioco che permette di affondare le dita nelle piaghe di una nobiltà frivola ed improduttiva e nella cancrena purulenta di una servitù impegnata a soggiogare se stessa. I dialoghi sono brillanti e velenosi nei rapporti nobiliari mentre al piano inferiore si consumano gelosie e risentimenti. È l'occasione per la regia di descrivere con il distacco che le è proprio, un mondo grigio e strozzato dall'opportunismo. Altman, in tal senso, non ha difficoltà alcuna ad applicare i propri teoremi stilistici, che escludono, a priori, primissimi piani a favore di campi medi, per esplicitare il dissenso etico nei confronti delle proprie marionette illuminate dai colori uggiosi della fotografia di Andrew Dunn.
In una pellicola in cui la scrittura è fondamentale e il tocco della regia ben visibile, benché non sovrastante, è doveroso elogiare un cast all star la cui predisposizione per il genere è tale da esaltare ulteriormente questo caleidoscopio di umanità.
L'indiscutibile presenza scenica di Maggie Smith convinse Fellowes dell'imprescindibile apporto dell'attrice nel vestire i panni del più complicato e affascinante personaggio di Downtown Abbey. Lady Grantham, grazie a Lady Trentham e al propulsivo apporto del lontano cugino Gosford Park, ha ridato slancio alla rappresentazione della nobiltà inglese, le cui vicissitudini, attraggono e affascinano il pubblico di tutte le latitudini in ogni momento storico. Ma non lasciamoci turlupinare da tavole splendidamente addobbate, inutili partite di caccia e capricciose stravaganze. La vera nobiltà alberga negli animi. Un profondo conoscitore dei costumi britannici e la verve sarcastica di un grande regista americano ce l'hanno rammentato con un risultato sorprendente e che ha dato il là ad un filone di altrettante gioie successive.
TV 2000
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