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Gosford Park

Regia di Robert Altman vedi scheda film

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La recensione su Gosford Park

di FilmTv Rivista
8 stelle

Trasferta britannica di Robert Altman, che porta la sua compagnia di giro a “Gosford Park”, una tenuta della campagna inglese, nel 1932, per un fine settimana di caccia, pranzi, colazioni e piccoli intrighi. Questa volta i personaggi sono 36: 14 signori, ai piani alti, 20 domestici, ai piani bassi, più un ispettore e un poliziotto che a due terzi del film si presentano per indagare sull’inevitabile omicidio che, nella miglior tradizione del giallo britannico d’epoca, arriva a far saltare l’equilibrio apparente dei rapporti. O almeno dovrebbe. Infatti, non solo il “whudonit” (chi è stato?) sembra importare pochissimo ad Altman (molto più affascinato dalla minuziosa osservazione delle relazioni sociali), ma anche i diretti interessati appaiono ben poco coinvolti. È la vita nella sua eterna finzione che continua a riprodursi, e non c’è incontro, d’amore, di odio o di scherno, che intacchi minimamente la maschera che ognuno indossa come una seconda pelle, che arrivi a scalfire un pezzetto di cuore o di coscienza. Solo il passato conta, quello che si è stati e che si è spesso dimenticato. Giocando su una sceneggiatura originale che mima una pièce teatrale, Altman si butta tra i suoi personaggi, li aggancia, li pedina, li costringe a rivelare, quasi sempre, il peggio di loro stessi. Chiuso nell’unità di luogo (la villa) e di tempo (due giorni), “Gosford Park” ricorda molto “Un matrimonio”, soprattutto nella prima parte, nei suoi saliscendi per la casa, a scoprire una faccia, un tradimento, un vizio, una simpatia, a tessere la tela di un universo che pare intrappolato in se stesso com’era quello della famiglia Corelli. Per una volta, solo la gente di cinema (il divo Ivor Novello e il produttore di Hollywood) sembra possedere uno spiraglio di vitalità, e forse la capocameriera Elsie che, comunque, decide di provare a cambiar vita. Per gli altri, vale solo il gioco di superficie e l’odio profondo che regola la convivenza tra le classi e all’interno della stessa classe. Certo, non è l’Altman più grande, un po’ slabbrato soprattutto nella seconda parte; ma sono pochissimi gli autori che sanno guidare un set del genere con tanta leggerezza.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 11 del 2002

Autore: Emanuela Martini

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