Regia di Robert Altman vedi scheda film
Un più che discreto film corale, in cui però la forma e la confezione prendono il sopravvento sul contenuto. Non so per quale arcane ragione sia così diffusa la sua nomea di presunta appartenenza al genere giallo. Sfatiamo subito questo falso mito, a scanso di fomentare erronee aspettative. Il delitto avverrà dopo un'ora abbondante di visione e dunque influenzerà (parzialmente) soltanto gli eventi dell'ultima parte, meno della metà della durata complessiva. A voler essere sinceri, poi, non è che il "caso" presenti chissà quale difficoltà. Ai più afferrati in materia basteranno probabilmente pochi istanti per risolverlo, ma per tutti vale comunque la semplice strategia dell'esclusione... partendo dalla rosa di candidati possibili colpevoli, infatti, la spiegazione finirà per essere la più ovvia.
Prigioniero della sua dimensione teatrale (non che questa sia una giustificazione, dato che qualsiasi pièce di Agatha Christie si sarebbe dimostrata più valida), non sfrutta appieno l'ampio respiro possibile con il mezzo cinematografico, esaurendosi di una trama esile assai, futilmente stemperata negli eventi, tanto che per la maggior parte del tempo accadrà ben poco d'importante. Rimane tuttavia il pregio di non risultare noioso, nonostante il ritmo compassato.
Invece credo sia impossibile non apprezzare la colonna sonora di Patrick Doyle, un nome e una garanzia, che non perde mai occasione di dimostrare il talento di cui è dotato. Insieme alla curata fattura di costumi e ambienti, riesce a rendere maggiormente sopportabile la pesantezza dei cerimoniosi rituali e degli ipocriti convenevoli. Ovviamente in questo giova pure il cast. Peccato soltanto per il fatto che, avendone così tanti insieme, nessuno di essi sia in grado di suscitare l'empatia e l'interesse di un protagonista. Ad ogni modo dominano le attrici, senza dubbio, tra le quali svetta e regna sovrana Maggie Smith (Constance Trentham), efficace catalizzatore di energie e attenzione.
In conclusione, non ci si lasci trarre in inganno da un improbabile tocco giallo, perché esso si rivelerà ben presto un mero ripiego secondario e artificioso. La sua vera natura è quella di un drammatico ritratto delle relazioni sociali, condito da una lieve anima di humour inglese, nelle dimore della società altolocata dell'epoca. Preciso ma lento nel suo incedere, didascalico, sconta la fragilità della storia con la dovizia di musica, fotografia e interpreti. Voto: 3,5/5.
Inghilterra, primi anni '30. Sir William McCordle e sua moglie Lady Sylvia invitano alcuni parenti e amici, accompagnati dai relativi domestici, nella loro villa in campagna per un weekend di caccia e relax. Tutto sembra procedere per il meglio, con i ricchi signori che si divertono nei salotti dorati e il personale di servizio che si scambia pettegolezzi nei locali ai piani inferiori, finché non viene commesso un omicidio.
Patrick Doyle non si smentisce e compone un altro prezioso tassello della sua onorata carriera. Melodiosa, vivace e armoniosa, la musica accompagna lo svolgimento in un'accattivante sinfonia. Strabiliante.
Servirebbe un intreccio più robusto.
Merita un grande plauso per essere riuscito a gestire un numero così elevato di personaggi contemporaneamente.
Sir William McCordle. Monocorde e bolso come al suo solito.
Lady Sylvia McCordle. Di un'antipatia unica. Brava per questo.
L'attore Ivor Novello. Canta e suona bene.
La contessa Constance Trentham. La sua presenza ruba la scena a tutti.
Henry Denton, giovane valletto.
Robert Parks. Una prestazione ordinaria, senza infamia e senza lode.
La signora Wilson. Defilata ma degna di nota.
Elsie, la capo cameriera. Della giusta intensità.
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