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La donna che visse due volte

Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film

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La recensione su La donna che visse due volte

di maso
10 stelle

La prima cosa che mi viene in mente parlando di "Vertigo" è l'opinione discordante che molti esperti e appassionati o semplicemente persone che lo hanno visto esprimono nei suoi confronti: viene spesso giudicato il capolavoro assoluto di Hitchcock, il suo film a colori dal quale in qualche modo si avverte la provenienza dal bianco e nero per via della scrematura delle tonalità, l'utilizzo delle immagini composte saturando il più possibile il gap fra ciò che si sta riprendendo e ciò che è stato già ripreso o fotografato, o dipinto, la trovata geniale per rendere l’effetto vertigine che affligge il protagonista attraverso una zummata in avanti contemporanea ad un carrello all’indietro su di un modellino che riproduce le scale del campanile poggiato su un piano orizzontale, la bellezza delle riprese esterne in una San Francisco sghemba come i suoi sali e scendi, come i sali e scendi mentali e fisici al quale è sottoposto il protagonista Scotty Ferguson interpretato da un convincente Jimmy Stewart nel ruolo più complesso dei tanti assegnatigli da Hitch, una protagonista memorabile come Kim Novak, elegantissima negli abiti di Edith Head: spaccata in due personalità rinchiuse nello stesso corpo da forma alla stessa donna costretta a rivivere due volte prima da chi ha bisogno di un duplicato di una moglie che non deve più vivere e poi da chi ha bisogno che quella donna creata artificiosamente riappaia dal passato come uno spettro attraverso una macchia sbiadita sullo schermo per cancellare quello stesso ricordo, quel fantasma d’amore precipitato nel vuoto, la Novak muta l’accento ed il pensiero dell’immagine di quella donna artefatta nel comportamento prima e nell’aspetto poi, un pregio non da poco.

Evidentemente però questi che sono solo alcuni dei pregi strepitosi del film non saltano agli occhi di tutti coloro che adorano massacrarlo perché giudicano bizzarre le evoluzioni dell’intreccio ritenute poco credibili e inverosimili: fin da principio lo spettatore è portato a chiedersi come sia scampato Scotty alla disperata situazione che lo vede appeso ad un cornicione con il vuoto sottostante, sembra spacciato ma sopravvive e rimane vittima delle vertigini che saranno la causa della macchinazione che soffocherà il suo equilibrio mentale. Come si spiega la scomparsa di Madlene dall’albergo dal quale sembra evaporare? Non viene digerita troppo facilmente l’idea che la cima del campanile dove si nascondono carnefice e complice non venga ispezionata dalla polizia e che il coroner non abbia rilevato i segni dello strangolamento  sul corpo della vittima, insomma “Vertigo” ha una trama che pullula di incongruenze ma volete che vi dica la verità “Chi se ne frega!”.

Credo proprio che a Hitch non fregasse un cavolo della logica terrestre, come non gli è mai fregato niente di tenere lo spettatore all’oscuro della risoluzione del mistero fino all’ultimo tratto del film, cosa che fra le altre cose puntualmente conferma anche qui con una lettera rivelatrice che la donna che visse due volte scrive sotto gli occhi del pubblico nel bel mezzo della storia, il fatto che questo episodio non sia presente nel libro da cui il film è tratto avvalora il modus operandi del maestro.

Lo scopo di Hitch era creare un senso di straniamento nello spettatore e trascinarlo in un vortice ipnotico attraverso la fusione tra le immagini e la immancabile musica di Bernard Hermann incentrata fin dai titoli di testa su quartine ascendenti e discendenti in sequenza su girandole grafiche che roteano nella mente di Scotty , animato da Jimmy Stewart nella sua magica prova con ostentata sicurezza per tutta la prima parte per poi farlo precipitare nell’abisso delle vertigini al momento del l’incubo e poi risalire la china in uno stato di catatonia apparente dalla quale piano piano riesce a riemergere fino alla verità.

E allora non posso che affermare che “Vertigo” è un film epocale del maestro per il cinema, pieno zeppo di immagini memorabili e cromatismi sgargianti, un Hitch capace di girare una scena da incubo inquietante come un horror con lo spettro di Carlotta Valdez che come fuoriuscito dalla tela ci fissa fisso sparando un brivido dietro la schiena con le luci intermittenti mentre il precipizio della macchinazione chiude come una zip i sali e scendi ipnotici della trama che ha visto l’ombra di quella donna  seguita come un ombra da Scotty, segugio innamorato dell’oggetto del suo incarico fino al punto di cercare di allontanarlo da quella linea circolare marcata sulla quercia e puntata con il dito nel punto esatto degli anni ventisei non suoi, dell’altra, di Carlotta Valdez.

La coppia che si forma questa volta non ha nessuna possibilità di restare unita ne prima ne dopo il fattaccio a causa della incancellabile presenza di una donna fantasma che li ha portati ad incontrarsi ed inevitabilmente poi li ha divisi lasciando solo l’illusione di un sentimento vero nato in un contesto falso.

“Vertigo” è pervaso da una pulsione necrofila che si concretizza alla fine in un’ombra nera emersa dalla fatidica scala in arrampicata verso il picco finale del film, ripetuto nuovamente senza controfigura per la donna che morì due volte.

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