Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Il poliziotto John 'Scottie' Ferguson (un superlativo James Stewart) si dimette dal servizio sentendosi colpevole per la morte di un collega. Viene contattato dall'ex compagno di college Galvin Elster (Tom Helmore) per fargli pedinare la moglie Madeleine (una radiosa Kim Novak), la quale crede di essere una sua antenata, Carlotta Valdes, vissuta nell'Ottocento e morta suicida a 26 anni.
Questo è l'inizio da cui la storia si svilupperà, prendendo snodi imprevisti e, a un certo punto, ripartendo come daccapo, fino al sensazionale colpo di scena finale.
'Vertigo' o 'La donna che visse due volte' è senza 'ombra di dubbio' una delle vette hitchcockiane: partendo dal romanzo di Boileau e Narcejac 'D'entre les morts', Hitchcock gira un ammaliante, visionario e romantico mélo travestito da thriller, contenente elementi del genere noir, che trasuda genio e passione per il cinema ad ogni inquadratura.
Hitchcock, certamente nel periodo di maggiore creatività, gira il film come se fosse un delirio visivo attraverso gli occhi del protagonista Scottie che rimane ammaliato dalla donna che diventa l'oggetto della sua pulsione amorosa e voyeuristica: noi vediamo lei, prima la (finta) Madeleine e poi Judy Barton, sempre tramite il suo sguardo indagatore, nel ristorante dove la vede la prima volta, nel pedinamento in macchina per i saliscendi di San Francisco, nel salvataggio sul Golden Gate e nella missione dove sembra perderla per sempre ma successivamente la ritrova, ancora per la strada, quando la storia ricomincerà, prendendo sviluppi incredibili e strade ancor più tortuose di prima.
Mentre l'elemento della soggettiva lo collega a 'La finestra sul cortile' come discorso metacinematografico in generale, con James Stewart in entrambi i film, come un qualsiasi spettatore in sala, che vede qualcosa e la sua reazione alla visione, per 'Vertigo' diverso è l'approccio alla materia filmata, dato che se nel primo caso si può parlare di realismo, con tocchi di humour nero e ironia, qui tutto è girato come se fosse un delirio a occhi aperti: colori sbiaditi come i ricorrenti verdastri, le scene all'aria aperta con una luce abbagliante o, al contrario, in interni, nel ristorante, caratterizzate da dei rossi intensi per non parlare della vasta gamma di colori indossati e fatti indossare a Madeleine/Judy dall'ossessivo Scottie. Ad avvalorare ciò movimenti di macchina virtuosistici, come nella celeberrima scena nella stanza in cui alloggia Judy, dove la donna esce come da una cortina nebbiosa per essere abbracciata da lui, con la macchina da presa che li avvolge in un movimento circolare - citato da De Palma in 'Omicidio a luci rosse' - per non parlare della sequenza chiave nella missione, con l'uso combinato di zoom e carrello per dare l'idea del disturbo di cui soffre il protagonista, ed in generale alle lunghe sequenze mute, montate con un ritmo ben calibrato dal fidato George Tomasini, dove la storia si dipana unicamente grazie alle immagini e alla insinuante colonna sonora di Bernard Herrmann.
Un altro tema toccato, che lo collega invece a 'Psyco' è quello del doppio, sottolineato visivamente con l'inserimento di più inquadrature con i personaggi che si riflettono negli specchi.
Tutti questi elementi si intersecano alla perfezione e fanno di 'La donna che visse due volte' un capolavoro assoluto, dal fascino immutato nel tempo.
Voto: 10.
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