Regia di John Woo vedi scheda film
AL CINEMA
Non è più tempo di voli di bianche colombe che, al ralenty, si librano in cielo tra battiti di ali ed un elegante dispiegare di qualche piuma.
Ora la poesia pare lasciare il posto al sangue: ci sono piuttosto palloncini rossi che si innalzano in cielo quando la presa vitale della piccola mano che lo trattiene viene meno, e il cuore cessa di battere perforato da colpi letali.
E ancora, nel gran finale, è il momento di ridondanti palline natalizie, che talvolta celano nemici in agguato, mentre alla fine suggellano il traguardo di una vendetta compiuta con uno sguardo di intesa tra un padre e la trasfigurazione di un figlio a favore del quale la vendetta si è consumata.
Non c'è infatti altro spazio se non per la vendetta, nel nuovo sanguigno e trucido film americano di John Woo, tutto sparatorie e coreografie di corpi in movimento, straziati o strazianti, a seconda dei casi.
Il talentuoso regista honkonghese re dell'action e della ripresa coreografica più sofisticata e strabiliante, non cerca storie particolarmente sofisticate, anzi, al contrario, in questo suo Silent night riduce all'osso lo script, trasponendolo ad una elementarità che potrebbe addirsi ad un corrivo film action da strapazzo con Chuck Norris di metà anni '80.
La vendetta di un padre a cui un maledetto proiettile vagante a seguito di una violenta contesa tra gang uccide il figlioletto di 7 anni, si consuma in due tempi.
Nel primo l'uomo viene quasi ucciso, perde l'uso della parola ed impiega diverso tempo a rimettersi in sesto.
Nel secondo atto, il riscatto sarà totale. Fino all'ultimo colpo in canna.
John Woo è così: non si tergiversa.
Agisce.
E la macchina danza, volteggia e coreografa tra una sparatoria e una derapata d'auto.
La banalità di una storia corriva qualunque, perché di ciò si sta parlando, si colora con Woo del fascino di una direzione da delirio, che rasenta la perfezione, supplendo la carenza cosciente di soggetto, e come tale certamente voluta e prevista, con una magia di ripresa che rende tutto da una parte fine a se stesso, ma anche uno spettacolo visivo che chi ama Woo ben conosce, ma trova fantastico ritrovare e vedere riproporsi dopo diverso tempo.
Joel Kinnaman non parla, ed è solo un vantaggio, perché ogni dialogo avrebbe solo fatto danni o sarebbe risultato superfluo in un contesto ove conta solo la forma.... e per fortuna!
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