Regia di Davide Gentile vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: DENTI DA SQUALO
Tratto da una sceneggiatura vincitrice del Premio Solinas, Gabriele Mainetti si avventura nel territorio della produzione dando la possibilità a Davide Gentile, quello che lui definisce “il migliore del 90% dei registi italiani”. Un ragazzo che ha lavorato soprattutto nella pubblicità e soprattutto fuori dall’Italia.
Denti da Squalo è un’opera prima molto interessante più negli intenti che nell’esito finale, con una prima parte quasi muta che segue i tormenti del giovane Walter ma che poi si perde nella seconda per un evidente mancanza di “Cazzimma”.
Evitate di andarci credendo di trovarvi di fronte ad un nuovo Lo Chiamavano Jeeg Robot. Qui siamo nel territorio del romanzo di formazione, nel pieno Coming of age che vorrebbe unire lo spirito fanciullesco Spielberghiano alla Goonies con tanto di corse in bicicletta con il realismo del lungomare di Ostia alla Non essere cattivo di Claudio Caligari.
Il film si apre con lo sguardo del tredicenne Walter rivolto verso un punto non precisato del mare, con ancora addosso gli abiti per il funerale del padre, solo con i suoi tormenti di quello che sarà il suo domani dopo quell’estate (la mamma lo vedrebbe bene all’Alberghiero che un posto di lavoro sicuro te lo offre).
Guardando le foto fatte insieme al padre, gli appare l’immagine di una villa. Un ricordo offuscato di quello che fece con lui e inforcando la sua bicicletta corre a tutta velocità verso quella meta.
Ma buttandosi nell’immensa piscina scopre che è abitata da uno squalo.
Nei giorni a seguire fa amicizia con Carlo, il presunto custode della villa di proprietà del malavitoso “Corsaro”, e insieme decidono di occuparsi della bestia anche a costo di infilarsi nei classici “Impicci Criminali” tipici del Lungomare di Ostia.
Fino a questo punto il film ha uno svolgimento interessante, il regista segue la bella faccia tormentata del piccolo Tiziano Menichelli e il bullo impacciato e cazzaro Stefano Rosci nel loro percorso di amicizia reciproco e nel loro approcciarsi col ruolo altamente simbolico dello “Squalo”.
Purtroppo, quando la storia deve evolversi in qualcosa di più concreto, il film si incarta su stesso.
Il sottobosco criminale comandato dal giovane malavitoso “Tecno” è più tamarro che temibile, sembra quasi uscito dalle pagine di un fumetto giapponese.
Il mondo adulto ricopre veramente un ruolo marginale nonostante potenzialmente avessero un vissuto molto interessante da approfondire.
La mamma Virginia Raffaele inizialmente molto preoccupata per la deriva che possa prendere il figlio alla fine si rivela la classica massaia da crostate alla ricotta con gocce di cioccolato e lasagne, il papà Claudio Santamaria è un fantasma amletico che cerca di spiegare che chi muore per salvare un collega non è un “Coglione” e chi ha il coraggio di abbandonare la vita criminale è un vero eroe e poi il Boss Edoardo Pesce, ormai schiavo del suo cliché, che terrorizza tutti con lo sguardo e con lo zoccolo come le mamme di una volta.
Il percorso per arrivare ad un finale alla Free Willy è decisamente farraginoso ed è un vero peccato perché si avvertono le potenzialità di Davide Gentile nel girare ad altezza di bambino e ad altezza di squalo come fosse uno Steven Spielberg de noi altri.
E quindi la parte più bella è tutta concentrata nel finale con un Edoardo Bennato che canta “Quando Sarai grande” mentre Walter è diventato grande abbastanza per buttarsi in quel mare come un vero squalo.
Voto 6 di incoraggiamento, peccato.
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