Regia di Piero Messina vedi scheda film
In uno spazio-tempo imprecisato (ma il film è girato tra Roma e Parigi, da angolazioni decisamente inedite) un'azienda vende un servizio alle persone che devono elaborare un lutto, offrendo loro la possibilità, per un lasso di tempo rigorosamente limitato, di contenere il rimorso per un gesto non fatto, un'azione sbagliata, un abbraccio non dato. Tra questi c'è Sal (García Bernal), che ha perso la compagna in un incidente stradale. Sua sorella (Bejo) lo convince a servirsi dell'opportunità fornita dall'azienda grazie alla quale la memoria vissuta dei defunti viene trasferita sul corpo di persone che, in cambio di denaro, si offrono di riportare momentaneamente in vita chi non c'è più. Ma a Sal ritrovare la mente della sua amata, incarnata nel corpo di una entraîneuse (Reinsve), sembra non bastare…
Ne L'inquilino del terzo piano, Roman Polanski si domandava "se mi taglio un braccio, io dico: 'me e il mio braccio'. Ma se mi tagliassi la testa che cosa direi? 'Me e la mia testa o me e il mio corpo?' che diritto ha la mia testa di chiamarsi me?". Il secondo lungometraggio del tutt'altro che prolifico Piero Messina (il suo precedente L'attesa risale a nove anni prima) parte dallo stesso dualismo cartesiano tra mente e corpo di quel film seminale per realizzare un'opera ambiziosissima, certamente atipica nel panorama italiano, al punto da rendere visibile, in filigrana, la discendenza da Sorrentino, suo mentore. Eppure, nonostante l'impeccabile prestazione dei tre interpreti principali (ma i personaggi di contorno non sono da meno) e il colpo di scena ben assestato nel finale, si tratta pur sempre di un cinema derivativo, con una narrazione spesso tortuosa e a tratti inerte, che confluisce in una messa in scena elegantissima ma in qualche misura compiaciuta e persino pilatesca, incapace di risolvere in una qualche direzione possibile l'ingombrante dilemma che propone.
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