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Bad Living

Regia di João Canijo vedi scheda film

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La recensione su Bad Living

di EightAndHalf
8 stelle

In un hotel, Piedade è immersa nella sua depressa routine: fa il bagno in piscina, sta col suo cane, lavora alla reception, odia sua madre (che dell’albergo è proprietaria). Arriva la figlia che non vede da anni, Salomé, e si pone dunque la grossa domanda se sarà in grado di amare almeno lei.

Già con Sangue del mio sangue Canijo aveva fatto il ritratto di una famiglia matriarcale attraversando tre generazioni (con le stesse tre protagoniste di questo film), per un film in cui amarsi voleva dire sostanzialmente detestarsi e farsi del male, come fosse una legge naturale inevitabile. Nel 2011, il suo melodramma si snodava in eventi narrativi però piuttosto invasivi, perdendo di vista l’orizzonte quotidiano delle protagoniste. Già allora, Canijo prestava attenzione alla loro vita di ogni giorno tramite queste immense articolate inquadrature a più livelli, in cui singoli pianisequenza diventavano ipertesti emotivi: la trama non come filo dritto, ma come ragnatela che connette un personaggio a tutti gli altri. Anche in quel film, non si risparmiava le sue aggressioni occasionali sui primi piani, quando si zittiva la sceneggiatura orale e iniziava quella delle espressioni, degli occhi, delle pieghe del viso.

Cos’è cambiato in 12 anni? E perché Mal Viver appare addirittura un film più bello del precedente? Il piano è similmente ambizioso (in combinazione con un film gemello, Viver Mal, per quattro ore totali di durata), le attrici sono le stesse, il regime è sempre quello del mélo virtuosistico ma raffreddato. Eppure Mal Viver è un’opera di una maturità ancora più sconvolgente: il melodramma si astrae e, invece che sistemarsi su una trama vera e propria, si diffonde per entropia, investe gli ospiti dell’albergo (le inquadrature della facciata con l’albergo che diventa un alveare di disperazione), trascina nel fuoricampo o con la furia di un urlo o con il lento ritmo di una leggera corrente d’acqua. Degno erede di de Oliveira, eppure così personale e unico, sorprendentemente poco cinico pur nell’inquadrare un’umanità che odia per definizione e non per necessità o volontà, João Canijo è il cantore onnisciente di un caos privo di certezze ma ricolmo di possibilità.

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