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Mulholland Drive

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Mulholland Drive

di steno79
10 stelle

VOTO 10/10 Ammetto di essere fra quelli che alla prima visione al cinema non ci capirono nulla, ma dopo altre due visioni, corredate da opportune piste di lettura del film, i conti sono tornati più o meno tutti. E' un'opera che, come altre di Lynch, continua a percorrere i binari della sperimentazione narrativa, ed è certamente una di quelle maggiormente influenzate dalla poetica surrealista, tanto da arrivare a far coincidere i primi due terzi del film con una sorta di "sogno ottimista" della protagonista, che conosceremo nel suo aspetto reale solo nella parte conclusiva (si direbbe che i numi tutelari di Lynch siano, in questo caso, Bunuel e il Bergman di Persona). Dunque, un film labirintico e onirico in cui però, una volta comprese le principali coordinate narrative, non ci si smarrisce più: la prima parte risulta arricchita dai dettagli "realisti" che scopriamo nella seconda, e viceversa. Girato con grande talento visivo, con una impeccabile cura del dettaglio tecnico (un particolare elogio alle musiche di Angelo Badalamenti) e un ritmo sinuoso e allettante che non si fa sconvolgere neppure dal brusco cambio di prospettiva che scatta con la scena in cui Rita viene risucchiata nella scatola blu, è un'opera della piena maturità di Lynch, priva degli sbandamenti di film come Fuoco cammina con me (a proposito, in una scena torna anche qui il nano di Twin Peaks). Ottima la prova di Naomi Watts, che offre la misura del suo talento soprattutto nei panni della tormentata e autodistruttiva Diane Selwyn, anche se è brava anche quando interpreta il suo "doppio", la più solare Betty (e la scena del provino è da antologia), mentre Laura Elena Harring dispensa la sua sensualità latina e Justin Theroux è divertente nei panni del buffo regista Adam Kesher. Considerato da molti critici e riviste settoriali il miglior film del decennio appena trascorso (fra gli altri, Cahiers du Cinéma, Film Comment, Reverse Shot, Los Angeles Film Critics Association, The Village Voice, Time Out New York): non so se personalmente arriverei a metterlo così in alto, ma non me la sento di discutere la sua grandezza. Lynch regola anche i suoi conti con Hollywood, con un ritratto al vetriolo del mondo degli studios, e ha il buon senso di non spingere troppo sul pedale dell'incomprensibilità, come farà nel successivo Inland Empire. Premio per la miglior regia a Cannes e nomination all'Oscar nella stessa categoria (battuto dal Ron Howard di A beautiful mind).

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