Regia di David Lynch vedi scheda film
Un film che utilizza gli “effetti speciali” in maniera apparentemente paradossale, ossia per riportare il cinema ai primordi dell’arte drammatica, al teatro greco, in cui l’illusione era fatta di niente. Sconnettere la coerenza dell’impianto narrativo significa ritornare alle maschere, ai deus ex machina, alle scenografie fisse, a quegli accorgimenti scenici rudimentali che, però, consentivano la massima libertà in termini di interscambiabilità e simultaneità dei ruoli, di inversione temporale, di sovrapposizione tra sogno e realtà. Il palcoscenico è il luogo in cui l’anima dello spettacolo si ritrova allo stato puro, ossia sotto forma di un inganno scoperto ma comunque subìto, di una palese contraddizione in termini, che vede lo spettatore accettare di buon grado la realtà del personaggio, nonostante l’evidenza della presenza fisica dell’attore, o, come nel club “Silencio” del film, lo costringe a credere all’esecuzione di un concerto, pur nella totale mancanza di strumenti musicali.
Un film che ci parla dell’essenza della visione artistica, sfrondata di ogni scopo, di ogni sovrastruttura, che è del tutto priva di un substrato logico, e si sottrae quindi, a priori, al rischio di vedersi costruire addosso alcunché di razionale.
Perfetta. Forse troppo.
Una bellezza imponente, quasi monumentale, eppure sottilmente provocante, come quasi non se ne vedono più.
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