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Da zero a dieci

Regia di Luciano Ligabue vedi scheda film

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La recensione su Da zero a dieci

di FilmTv Rivista
4 stelle

Nel buio e dall’alto, la città è una striscia di luci. Affacciata su un mare che non è un mare, su un tempo che è quella miscela di pieno e di vuoto di ogni vacanza, su un labirinto, poco complicato, di discoteche, stanze d’albergo, bar, marciapiedi, spiagge, circuiti automobilistici, musei di un’Italia in miniatura, rave, surf da sabbia. Scenario scintillante e smodato, sintesi architettonica di tanti luoghi di transito. Stazione balneare, stazione di servizio, stazione di sosta e di scambio. Una versione adriatica di Las Vegas in cui non si gioca con le slot-machine, con il tavolo verde, con il videopoker, ma con le ultime esitazioni e ambizioni verso un’età adulta. Luciano Ligabue invita al viaggio quattro ragazzi invecchiati, intorno ai trentacinque anni, e li porta con sé, con i propri ricordi (reali e inventati), con gli accordi di un blues mai suonato, con quelle scelte che hanno già ricevuto il terzo o quarto sollecito. Giove, Libero, Biccio e Baygon hanno pochi giorni di licenza premio da una lunga adolescenza, per chiudere il weekend di un’estate di venti anni prima. Un addio al celibato (della giovinezza). È un Romagna Split che non crea atmosfere e vuole, con intelligenza narrativa, buoni dialoghi, alcune scene girate con notevole perizia (per tutte, la corsa-roulette russa con le macchine) liberare e far defluire energie su un set come sul palco di un concerto rock. Suonare e cantare per stabilire un’empatia con il pubblico e narrare una storia per comunicare, condividere, confessarsi pezzi di vita. All’appuntamento per il fine settimana arrivano anche quattro ragazze, Caterina, Carmen, Lara e Betta: le figure femminili, però, sono molto meno interessanti di quelle maschili. La band degli otto personaggi festeggia una serie di non compleanni, stenta ad afferrare i bagliori degli attimi fuggiti, sfila per chi ha voglia di voltarsi a guardarli e accompagna il destino di chi rinuncia, tragicamente, a crescere e di chi accetta di essere traghettato oltre la metà del cammino. Ligabue conosce il cinema e i film americani e li usa con naturalezza, ha un punto di vista sul mondo e lo rivela con onestà, ha uno spiccato senso del racconto e ha un genuino senso del ritmo. E non è questione di accordi, di disaccordi, di scale e di battute.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 7 del 2002

Autore: Enrico Magrelli

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