Regia di Luciano Ligabue vedi scheda film
Così come Radiofreccia (1998), il primo film di Ligabue, rispecchiava lo spirito del precedente disco Buon compleanno Elvis (1995), cioè per metà racconto dalle radici veraci e per l'altra metà piacionerie e facilonerie per il pubblico, ecco che questo secondo lungometraggio del regista rocker, uscito in concomitanza con l'album Fuori come va?, ancora una volta viene perfettamente descritto dalla sua contemporanea musica: una boiata. Rock per famiglie (cioè qualcosa che non è più rock) e cinema per famiglie, questo è l'obiettivo del Liga 2002, che in effetti dopo il disastroso esito di Da zero a dieci capirà che la settima arte proprio non fa per lui. Non che - in definitiva - Ligabue non abbia qualche idea carina o che sia un regista del tutto da buttare: ma le ingenuità sono frequenti e spesso i raccordi e la recitazione lasciano un po' a desiderare (si veda il montaggio incrociato della scena conclusiva della corsa clandestina per rendersi conto di come si può sfasciare e ridicolizzare con poco un momento sulla carta di grande tensione e pathos). E, soprattutto, la sceneggiatura da lui firmata è un colabrodo di amenità involontarie, dialoghi irritanti, situazioni impossibili; tutta roba che emana un tono pretenzioso semplicemente fuori luogo, dato il prodotto gravemente mediocre che ci si ritrova davanti. Comparsata 'goliardica' di Stefano Accorsi (protagonista di Radiofreccia), ruoli centrali per Pierfrancesco Favino, Elisabetta Cavallotti (reduce dal tonfo più di critica che di pubblico di Guardami, regia di Davide Ferrario), Stefano Pesce, Barbara Lerici, Massimo Bellinzoni; fotografia di Gherardo Gossi e colonna sonora originale neppure disprezzabile composta proprio da Ligabue (e se si fosse riuscito a limitare solo a quella?). Da zero a dieci è il voto che ciascuno può dare alla propria vita, secondo la populista, qualunquista, becera 'filosofia' del film: meglio vivere a basso profilo a lungo e senza intoppi o meglio ammazzarsi giovani divertendosi da dieci? Magari, caro Ligabue, tutti noi vorremmo vivere da dieci, a lungo, senza intoppi, o comunque fare quel che ci pare senza dove rendere conto a schematiche e puerili dicotomie di questo risibile calibro. Infine il film è ancora un evidente tentativo di autoanalisi dell'autore: se in Radiofreccia però il Liga raccontava con bonomia e nostalgia i suoi vent'anni, questa volta il 'rocker' (!) preferisce confessare sotto mentite spoglie di annoiarsi parecchio della sua conformista e frustrante esistenza di quarantenne e di rimpiangere amaramente quegli stessi vent'anni. Ma i suoi maturi personaggi che vagano in risciò per Rimini facendo gli scalmanati sono qualcosa di penoso, ci si vergogna per loro. Inspiegabilmente Da zero a dieci viene invitato alla Settimana internazionale della critica a Cannes (chiaramente passando inosservato, ci mancherebbe pure...). 2/10.
Quattro quasi quarantenni tornano per un weekend a Rimini, per continuare a compiere le bravate che facevano vent'anni esatti prima. Ci tirano talmente dentro che uno muore.
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