Regia di David Mamet vedi scheda film
I personaggi di Mamet sono dei fantasisti dell’inganno e dell’avidità. Non dicono mai tutta la verità perché la verità è un punto di vista e i punti di vista si trasformano, si appannano, passano dallo stato gassoso (delle parole e dei pensieri disonesti) a quello liquido e, infine, a quello solido. La formula della delinquenza, della truffa, del raggiro, del contratto tra soci e amanti ha la consistenza di un instabile castello di carte. Questa certezza, unita alle altre costanti perfezionate in tanti testi teatrali e in solo alcuni dei film scritti e diretti, è il traliccio di un noir, più ironico che violento, su un banda di ladri geniali e simpatici, specializzata in gioielli e lingotti d’oro, e capeggiata da Joe, un Gene Hackman straordinario come sempre, e formata dai bravissimi Delroy Lindo e Ricky Jay e dalla più scialba Rebecca Pidgeon, la signora Mamet. I professionisti sono in affari con il perfido Danny DeVito. Quando Joe viene inquadrato a viso scoperto da una telecamera del circuito di sicurezza di una gioielleria, l’alleanza tra le due ditte a delinquere s’incrina. Come nei film di Allen verrebbe voglia di appuntarsi i duelli verbali, le battute, i felpati rovesciamenti di campo, lo schema bifronte dell’intelligenza. Una versatile ingegneria meccanica del racconto sostenuta da performance di ottimi attori impegnati, nello spazio di un’inquadratura, a dire una cosa e a celarne un’altra.
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