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D'Artagnan

Regia di Peter Hyams vedi scheda film

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La recensione su D'Artagnan

di degoffro
4 stelle

Peter Hyams sembra avere ormai intrapreso la strada, purtroppo senza ritorno, di un irrimediabile ed inglorioso declino cinematografico. Dopo una carriera quanto meno dignitosa con alcuni titoli significativi (la fantascienza di "Atmosfera zero", "Capricorn one" e "2010 - L'anno del contatto", sequel intelligente del capolavoro di Kubrick, l'intenso dramma di "Condannato a morte per mancanza di indizi" e l'avventura virata al thriller di "Rischio totale" riuscitissimo remake di "Le Jene di Chicago" impreziosito dalla performance super di Gene Hackman, oltre alla prestigiosa collaborazione con Don Siegel per la sceneggiatura della spy story "Telefon") i primi segni di crisi si sono avuti nei primi anni novanta quando si è trovato a dirigere Van Demme in film alla Van Demme, vale a dire il noioso "Time cop" e l'indifendibile e grossolano "A rischio della vita". Poi è arrivato Scwarzenegger e i suoi "Giorni contati": ogni commento è del tutto superfluo. Adesso questo patetico e modestissimo "D'Artagnan" che, ispirandosi molto liberamente ai personaggi del romanzo di Dumas padre, cerca inutilmente di adattarsi ai gusti idioti e rincitrulliti dei giovani di oggi, nella scriteriata e assurda convinzione che basta piazzare a caso un'acrobatica e sorprendente (ma per chi? non certo per lo spettatore ormai assuefatto, annoiato e abituato a tali sequenze, alla lunga meccaniche, inutile virtuosismo di stunt men con gli attori in disparte a guardare da bordo set) scena di duello alla Matrix (film che ha prodotto più danni che benefici) in cui le normali regole della gravità vengono capovolte, all'interno di una struttura narrativa quanto meno faticosa e monotona, per catturare l'attenzione e stupire, facendo scattare l'applauso e il coinvolgimento emotivo dei giovanissimi, dimenticandosi completamente che un film ha bisogno innanzitutto di una storia che abbia un suo equilibrio e una sua intelligenza. Ovvio risultato: quei giovani a cui il film era diretto, senza troppi problemi gli hanno voltato le spalle, con un netto pollice verso che ne ha decretato l'increscioso insuccesso al botteghino. Quello che infastidisce, irrita e disturba non è tanto lo spreco, ormai purtroppo, costante e deleterio, del talento di un regista che comunque ha dimostrato in passato di non essere uno sprovveduto, né il tradimento insulso del racconto originale (sparisce Milady, il ruolo di Richelieu viene drasticamente ridimensionato, vengono lasciati in sottofondo Athos, Aramis e Porthos mentre largo spazio è dato a personaggi minori come il mentore Planchet e viene creato un cattivo tutto nuovo Febre, ovviamente con una benda nera sull'occhio, per apparire più crudele secondo un'iconografia piuttosto abusata e riciclata e per giustificare il desiderio di vendetta di D'Artagnan a cui quell'uomo così viscido e malvagio ha ucciso spietatamente prima i genitori davanti ai suoi occhi quando era piccolo, poi, a tradimento, l'amato Planchet) quanto il pressappochismo di una messa in scena anonima, vuota e ripetitiva, i toni da feuilleton di una sceneggiatura che grida vendetta (a firmarla Gene Quintano, responsabile, è vero, degli script del terzo e quarto episodio della serie di "Scuola di polizia" nonché regista di "Palle in canna" fiacca parodia della serie di "Arma Letale" e "Perché proprio a me? ingenuo film con Cristopher Lambert, ma sceneggiatore anche di un piccolo e misconosciuto film d'avventura targato Disney "Quando gli elefanti volavano" che raccontava con simpatia, fantasia e affetto un episodio originale e spiritoso che si immaginava avvenuto nel corso della guerra in Vietnam), il riciclo di situazioni cartoonesche arcinote e alla lunga sfiancanti e scarsamente divertenti (si susseguono fino alla nausea, in un accumulo esasperante e immotivato atletici duelli, in equilibrio su barili di vino che rotolano, appesi alle travi del soffitto, su carrozze in corsa con i cattivi che, come è consuetudine, sbattono contro gli alberi cadendo a terra, mentre il nostro (super)eroe (dei fumetti) salta da un cavallo all'altro con un'agilità che ha dell'incredibile, appesi ad una corda in bilico sulla torre ed infine, quasi danzando, su altissime e scricchiolanti scale a pioli - nell'unica sequenza davvero vertiginosa e memorabile), la banalità dilagante e disarmante con cui si descrivono le figuracce dei primi incontri fra D'Artagnan e Francesca con il primo, impacciato e imbarazzato, che o cade dalle scale vedendola per la prima volta e dicendole poi "Siete bellissima" oppure sfonda il soffitto, osservandola di nascosto mentre si sta facendo il bagno (roba che non si vede più nemmeno in "American Pie"), la stucchevolezza svenevole delle parentesi romantiche, ovviamente sul prato, lungo il fiume ("Quando mi guardate in quel modo non so più cosa dire"!!!), la pacchiana stupidità delle gratuite ed ingiustificate allusioni sessuali ("E' una spada lunga o corta? La lucidi da solo o ti fai aiutare? oppure "Carino vero? Beh, ma ora non c'è tempo" dice D'Artagnan a Francesca che lo guarda completamente nudo), la cattiveria macchiettistica di Febre, uno che non ha né pietà, né cuore, certo di finire all'inferno dove è sicuro di ritrovare Richelieu, colui che lo ha "scoperto", la faciloneria di espedienti narrativi abusati come il passaggio attraverso le fogne e il travestimento, questa volta da camerieri e/o macellai giusto per passare inosservati e portare a termine la propria missione, l'inevitabile duello finale a suggellare la vendetta di D'Artagnan su Febre, con i due che, nella confusione generale, riescono a incrociare i loro sguardi. A ciò si deve poi aggiungere un cast semplicemente delirante: Justin Chambers è un D'Artagnan floscio e del tutto inespressivo; Mena Suvari crede di essere ancora sul set di "American Beauty" e si ricicla come ninfetta; Catherine Deneuve nei panni della regina, "il cui ruolo non è quello di pensare" come le dice il re e che quando scende nelle fogne afferma convinta "Ho sentito dire che qui ci sono i coccodrilli" (!?!) è ancora più impacciata, goffa ed ingessata di quanto non lo fosse nella scena lesbica con Fanny Ardant di "8 Donne e un mistero"; Tim Roth, costretto a recitare dialoghi del tipo "Io ho necessità di fare del male a qualcuno" o "A tutti piacciono i bambini, tranne a me" è giunto ormai alla saturazione nei suoi ruoli da villain così che gigioneggia a più non posso dimenticandosi che un ruolo esattamente identico lo ha fatto in "Rob Roy", mentre Stephen Rea, il più misurato, l'unico a salvarsi, sembra in ogni momento chiedersi perché non si trova sul set di un film dell'amico Neil Jordan. Si salvano solo l'elegante fotografia (firmata dallo stesso Hyams) che privilegia le atmosfere oscure, ispirandosi, con bel gusto, alla pittura fiamminga, due battute due ("Avete uno strano stile di combattimento: dove l'avete imparato? chiede il capitano, "Qui e là" risponde D'Artagnan, "Forse là, non certamente qui" è la replica del capitano, oppure "Ho bisogno del vostro aiuto" chiede D'Artagnan ai moschettieri e in risposta riceve un sonoro rutto, anche se poi è destino che la carica sarà data uno per tutti tutti per uno, questo aspetto non può certo essere tradito dalla narrazione) e il tenero cavallo Strega che, sfinito, stremato e ansimante dopo una lunga e folle corsa, viene lasciato da D'Artagnan disteso sulla strada a riposare. Cast tecnico di prestigio con il montatore di "Blade Runner" "Alien" e "Legend", il responsabile degli effetti di "Ronin" "Il patto dei lupi" e le musiche di David Arnold, autore degli score degli ultimi 007 e di tutti i films di Emmerich.
Voto: 3

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