Regia di Nina di Majo vedi scheda film
Dopo “Autunno”, film ironico sulla piccola borghesia napoletana, ecco “Inverno”, ritratto scostante e problematico di una borghesia meno connotata, automaticamente più “nordica”, astratta. Due coppie: uno scrittore e una gallerista, un industriale cinquantenne e una traduttrice. Interni con identità, ma senza calore. Esterni che appaiono volutamente “spaesati”, non identificati. Sgomento, noia, crisi esistenziale e incomunicabilità. Le coppie si intrecciano, ma alla fine non cambia un granché. Il nuovo film di Nina di Majo percorre la strada difficile del dramma freddo borghese, per dirla in soldoni, alla Antonioni. Visivamente l’autrice conosce bene il cammino: la macchina da presa ingabbia e opprime i personaggi, marca il loro passo opaco, non libera mai emozioni. Purtroppo, è sul piano della parola che “Inverno” si inceppa. I dialoghi (e sono tanti) inseguono la stessa astrazione e cadono nella banalità letteraria. Anche nei film di Antonioni c’erano frasi che facevano drizzare i capelli. Cinquant’anni dopo, questo dialogare è diventato inascoltabile. Sarà banale ripeterlo, ma il cinema italiano continua a soffrire orribilmente di una cronica mancanza di sceneggiatori e dell’incurabile malattia dei registi di scrivere tutto da soli.
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