Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Domandarsi perché l’uomo abbia sempre fatto (e per sempre farà) la guerra è esercizio alla cui intrapresa potrebbero (anch’esse inutilmente, come me) dedicarsi solo le menti più eccelse ed illuminate. Io, naturalmente, mi astengo. Mi domando però, da piccolo uomo di cinema, perché qualcuno abbia ancora voglia di fare film di guerra, e me ne dolgo particolarmente quando a mettersi in gioco con la propria firma, sono registi del calibro di Ridley Scott.
E tanto più me ne dolgo quando da tale intrapresa neppure cotanto regista riesce a cavare nessun ragno dal suo buco, e ripropone la solita retorica patriottica, cameratesca, “eroistica” del “saluta-la-mamma-per-me” esalata dalle sanguinanti labbra del ragazzo di turno in punto di morte, confortato da tanti ufficiali che gli danno del tu. E peggio mi sento quando Scott cerca riparo in quel breve dialogo sul finale che definirei infame, se proprio avessi voglia di definirlo, goffamente scavando nella tana del ragno, quando un suo personaggio in vena di Marzullate si fa domande e si da risposte tutto da solo:
“Quando a casa la gente mi chiederà: Ehi, Hoot, perché lo fai? Perché ti piace giocare alla guerra? Io non risponderò niente. Perché non capirebbero. non capirebbero perché lo facciamo. Non capirebbero che lo facciamo per i nostri compagni.”
Ecco, bravo.
Io invece non ho capito perché, indiscutibile maestria a parte, non sarebbero bastati 80, 90 minuti di pellicola per raccontare la “schifosa guerra di Somalia (Vietnam, Korea, Afghanista, Iraq, gne gne gne gne...)” senza doverci ammorbare con due ore e mezza di schizzi di sangue, grida, botti, sparatorie per ridirci di nuovo e per sempre niente di niente sul perché l’uomo da sempre faccia la guerra.
Se da un punto di vista diciamo tecnico “Black Hawk Down” è un signor film, la mia personale valutazione è comunque ampiamente negativa e fortemente rammaricata per quella firma a fine pellicola.
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