Regia di Ignacio F. Iquino vedi scheda film
Uno dei più feroci e brutali "cine quinqui" (1978 - 1985) diretto da Ignacio F. Iquino. Titolo esemplare di un genere cinematografico spagnolo nato sulla scia di analoghi prodotti italiani, con protagonisti giovani disadattati e violenti.
Barcellona. Una gang di minorenni - tre ragazzi e una ragazza incinta - cresciuti in ambienti familiari problematici, coinvolge in attività criminali il giovane Rafi (Bernard Seray), barista cresciuto amorevolmente dal padre (Antonio Molino Rojo). Le scorribande del gruppo procedono in un crescendo di violenza, via via sempre maggiore. Dopo avere rubato la pistola a un poliziotto i ragazzi si spingono a compiere una rapina, quindi uno stupro di gruppo, vittima Maria (Linda Lay). Condizionati dalle violenze domestiche subìte, dalla lettura di riviste pornografiche e dall'uso di sostanze stupefacenti, finiscono per trovare, nell'abuso sessuale di graziose ragazze, la loro unica ragione di vita. Pagheranno per i reati commessi, chi con la morte e chi con la galera, ma la pena maggiore resta in carico alle innocenti e sfortunate vittime: Elisa (Eva Lyberten), morta durante una brutale violenza sessuale e Dana (Mireia Ros), rimasta incinta dopo lo stupro.
"L'ultimo anno migliaia di donne sono state violentate, ma potete contare sulle dita di una mano il numero di aggressori che hanno pagato il loro crimine. Domandiamo giustizia al nostro Governo e una legge, strettamente applicata, che ci protegga e punisca questi uomini spietati...."
(Speaker, durante una manifestazione femminista)
Los violadores del amanecer: Linda Lay
Il tema della violenza giovanile, praticata in una società "democratica" che sembra garantire l'immunità ai responsabili di furti, rapine e violenze sessuali, non è una novità quando il cineasta spagnolo Ignacio F. Iquino scrive, produce e gira questo dramma dalle insistite venature erotiche. L'ispirazione a fatti realmente accaduti, la polemica sull'assenza di una legislatura adeguata per giuste pene da comminare ai colpevoli, l'atteggiamento garantista tipico dei giudici di sesso maschile che sembrano sottovalutare la gravità dello stupro, sono tutti elementi ben presenti in pellicole italiane di qualche anno precedenti: dall'apripista I ragazzi del massacro (Fernando Di Leo, 1969) al cult Milano odia: la polizia non può sparare (Umberto Lenzi, 1974), passando per il probabile ispiratore di questo Los violadores del amanecer (I ragazzi della Roma violenta, 1976, di Renato Savino). Sceneggiatori e registi iberici arrivano secondi, probabilmente per sole ragioni dovute a un regime dittatoriale che ha imposto forte censura sul tema sessuale, praticando questo genere, definito come "cine quinqui" [1], nell'arco di tempo che copre il periodo 1978-1985. Gli esponenti più significativi del filone si possono individuare in José Antonio de la Loma (con il film Street Dogs - I teppisti della strada/Perros callejeros I e II, 1978/79) ed Eloy de la Iglesia (Miedo a salir de noche, 1980 ed El Pico I e II, 1983/84), senza dimenticare che anche più noti cineasti (Vicente Aranda Ezquerra e Pedro Almodóvar) hanno praticato il quinqui nei primi anni della loro carriera. Il rappresentante più pessimista, esplicito e purtuttavia ambiguo di questo genere, rimane però Ignacio Ferrés Iquino (1910 - 1994), al quale imdb accredita 87 regie a partire dal 1934 sino al 1984. Una filmografia, quella di Iquino, che a un certo momento assume nètta prevalenza per l'erotico, iniziato a trattare dal regista a partire dalla metà degli anni Settanta in poi, ovvero in concomitanza con la caduta del regime dittatoriale franchista (1975) che corrisponde quindi a una maggiore apertura verso la libertà di espressione, intesa anche a livello cinematografico con l'intromissione di tematiche sessuali fino ad allora considerate un vero e proprio tabù.
Los violadores del amanecer: Eva Lyberten
Los violadores del amanecer: Eva Lyberten
Ne Los violadores del amanecer ("Gli stupratori del crepuscolo"), per il quale è anche autore dei testi [2], Iquino non rinuncia a mettere in scena tre lunghissime e snervanti scene di stupro e tortura, mostra l'indignazione popolare che si esprime con scritte sui muri che ricordano tristi proclami fascisti ("contro lo violenza, la castrazione per gli stupratori", "pena di morte") ma, nel pessimista e sconsolante finale, prende poi anche posizione a sinistra, mettendo in scena una (reale) manifestazione femminista, ponendosi in termini critici contro religione e aborto (per colpa di una madre bigotta, che intende imporre alla figlia il suo pensiero - far nascere comunque il figlio dello stupro -, Dana si toglie la vita). Il cast, composto da protagoniste poi destinate a diventare piuttosto attive in ambìto cinematografico e televisivo, offre una performance poco convincente ma Iquino sopperisce alle carenze artistiche di mediocri attori e attrici puntando all'aspetto morboso e sleazy che accomuna, come già detto all'inizio della recensione, questa pellicola ad analoghi, precedenti, titoli italiani. Resta un prodotto del suo tempo, oggi improponibile da girare, che assume una chiara posizione in favore della giustizia e in difesa delle vittime, senza però rinunciare alla "spettacolarizzazione" della violenza e del sesso. Quel che poi, in fondo, possiamo vedere oggi in qualsiasi morboso approfondimento da prime-time televisivo, fors'anche più raccapricciante perché speculativo su fatti di cronaca realmente accaduti.
NOTE
[1] La definizione di cinema "quinqui" è da attribuire ai commercianti ambulanti che, a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo, si mescolarono con gli zingari. Costoro producevano e vendevano oggetti metallici (quincallería, ovvero "chincaglieria"), venendo definiti con il termine quincalleros, poi divenuto quinquilleros, infine quinqui. Poiché praticavano attività illegali, operando ai margini della legge, il termine nel tempo ha acquisito anche la connotazione negativa di "delinquente".
(Fonte: Wikipedia)
[2] Testi piuttosto cinici e spietati, del tipo "Se non collabori, ti taglio i capezzoli", come minaccia uno degli stupratori alla povera Elisa, durante un sanguinario stupro di gruppo.
Los violadores del amanecer: scena
Los violadores del amanecer: Linda Lay
"Credo che lo stupro abbia a che fare con gli istinti primordiali dell'uomo. La caccia, l'inseguimento, la cattura, la preda calda, spaventata, tremante, il possesso. Ecco, questo il gioco, la mia eccitazione si fonda su questo subdolo e umiliante meccanismo: il possesso. Il sapere che lei è preda, alla tua totale mercé, debole e remissiva, schiava delle tue volontà. Il possesso totale. Sì, è vero, in uno stupro la soddisfazione sessuale è poca cosa, è il resto a farla da padrone. Il pieno controllo del corpo di lei, il senso di onnipotenza, lo sfogo sadico di un istinto malfermo, la tortura psicologica, la sua sofferenza, l'angoscia, la remissività. Tutto entra in un gioco perverso teso all'annullamento della sua volontà. La donna che è dominata, la schiavitù, la sottomissione, l'inseguimento del tuo solo piacere."
(Angelo Izzo)
F.P. 19/05/2023 - Versione visionata in lingua spagnola (durata: 91'42")
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