Regia di Cameron Crowe vedi scheda film
Compito arduo trasformare una bella storia psico-fantastica, sufficientemente involuta e inspiegata, come quella scritta da Alejandro Amenábar e Mateo Gil per “Apri gli occhi” (diretto da Amenábar nel ‘97), in un film noioso. In assoluto, è piuttosto difficile rendere faticoso, privo di tensione per almeno due terzi, un soggetto che oscilla tra sogno e realtà, thriller e fantascienza, rimpianto di ciò che non è accaduto nella vita vera e gli orrori non voluti che il sogno inanella. Soprattutto quando si abbiano a disposizione mezzi, location, attori hollywoodiani. Eppure Cameron Crowe ci è riuscito: “Vanilla Sky” si dipana per oltre due ore con pochissimi brividi; i suoi misteri non incuriosiscono, i suoi interrogativi non angosciano, le sue malinconie non arrivano a intrecciarsi con le nostre. Certo, tutti conserviamo nel cuore la Sabrina di Audrey Hepburn e le canzoni di Bob Dylan, un poster di “Fino all’ultimo respiro” di Godard di fianco a quello di “Jules e Jim” di Truffaut, un ideale Atticus Finch come padre e il ricordo di un amore perfetto che non è mai cresciuto. Ma queste esili tracce (che probabilmente sono le più consone agli umori e alla formazione di Crowe) non bastano. La poesia non si salda con la tensione; l’impossibile non diventa mai né meraviglioso né credibile.
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