Regia di Rob Savage vedi scheda film
AL CINEMA
In sala in questi giorni è possibile imbattersi nuovamente nel malefico “uomo nero”, al centro di un reboot intitolato The Boogeyman, in cui si torna a parlare del “babau“, ovvero la misteriosa e malefica presenza che si annida nel buio e da sempre costituisce una delle paure recondite dell’uomo sin dall’infanzia.
Un personaggio sempre al centro di paure collettive e leggende metropolitane, ripreso e scandito dalla fantasia prolifica dello scrittore horror più affermato e apprezzato, Stephen King, già al centro di precedenti trasposizioni; invero, nessuna mai davvero memorabile.
Nel cast, piuttosto convincente, spiccano i tre protagonisti, ovvero un padre e due figlie, efficacemente resi da Chris Messina, Sophie Thatcher, la figlia più grande, e Vivien Lyra Blair, la bimba di famiglia.
Ancora devastate dalla perdita della madre, due sorelle di nome Sadie e Sawyer cercano a fatica di riprendere i ritmi di vita di un tempo, mentre il padre, uno psicologo, fa ancora i conti con il lutto .
Dal giorno in cui, nello studio del medico, situato in una stanza di casa, si presenta uno strano tipo senza appuntamento che supplica lo psicologo di prestargli attenzione, una ulteriore tragedia, che si conclude con il suicidio dello sconosciuto paziente, aggrava il già teso equilibrio psicologico dei tre.
Ma il problema vero è un altro, e le due figlie lo scopriranno, a loro spese, ancora prima del genitore, quando si renderanno conto, pur senza essere credute, che una presenza malefica si è impadronita dell’oscurità di casa e li sta seriamente minacciando.
Non brilla certo per originalità di dialoghi questa ennesima rivisitazione di uno dei personaggi sulla carta più spaventosi e affascinanti del genere horror: l’uomo nero, quello che vive di tenebre e logora attraverso lo spavento portando fino alla follia le sue vittime, privilegiando quelle in età infantile.
E dire che Rob Savage, regista e sceneggiatore di classe 1992, non è certo un improvvisato nel settore, essendo già stato al centro di due pellicole di genere di un certo richiamo, soprattutto all’estero.
I suoi Host (2020) e Dashcam (2021) hanno avuto un certo richiamo: il primo addirittura ai primi posti dell’elenco stilato da una rivista specializzata che lo indicava come uno tra gli horror più spaventosi del nuovo millennio.
Questo nuovo adattamento incentrato sulla figura dell’uomo nero, appare tecnicamente ineccepibile, ma carente per quanto riguarda la costruzione del personaggio al centro della vicenda, ovvero l’uomo nero.
Non risulta infatti sufficiente l’incipit con l’incursione del cliente occasionale, e lo sviluppo della sinistra forma di vita che si nutre di tenebre, per rendere coinvolgente una vicenda che, al contrario, si limita ad utilizzare tutti i cliché del caso per sviluppare la sua storia di tensioni e paure represse.
Il “babau” c’è, ma non si giustifica, né è comprensibile il perché possa assumere forme mostruose di animale ibrido dai tratti umanoidi, e come si giustifichi la sua presenza.
Forse allora risultava più affascinante il primo adattamento del personaggio, attraverso la co-produzione Usa-neozelandese del 2005 a cura di Stephen T, Kay, non particolarmente brillante dal punto di vista tecnico, ma più interessante per il fatto di sondare le paure dell’oscurità sin dall’età infantile.
Aspetto che manca del tutto in questo ultimo adattamento, rendendo davvero piatto e poco interessante un personaggio meritevole di ben altra incisività e approfondimento psicologico.
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