Regia di Iain Softley vedi scheda film
Due Oscar (“I soliti sospetti” e “American Beauty”) non bastano a rendere indiscutibile un attore e Kevin Spacey non fa eccezione. Presenza, aspetto, tecnica di recitazione e un carisma (centrifugo rispetto a ruoli tondi e pieni), nel suo caso, hanno bisogno di una struttura narrativa solida e di coprotagonisti molto validi rispetto ai quali ritagliare, cesellare e inventare personaggi monomaniaci. Quando mancano entrambi o viene meno uno di questi due elementi, i suoi film - come sta accadendo negli ultimi mesi - non funzionano.
“K-Pax” è cucito, senza accensioni, per un suo show di maniera. Nel film è Prot, un misterioso e mite uomo caduto sulla Terra da un altro pianeta - come si ostina a ripetere - o riemerso da un passato traumatico. Viene ricoverato in un manicomio, ispirato alla versione rosa di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, e ha subito un grande ascendente sugli altri pazienti. Per stare tranquilli, il regista e lo sceneggiatore (si fa fatica a stabilire chi sia più inconsistente), lo affidano alle cure di Jeff Bridges, psichiatra, già alieno - “Starman” di Carpenter - . Il rapporto tra i due, per motivi filmografici, dal momento che ogni attore porta scritto nelle proprie rughe tutti i personaggi che ha interpretato, è una delle poche cose scaltre in un film molto modesto.
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