Regia di Vincenzo Salemme vedi scheda film
Uno smemorato che spunta da un cassonetto. Un distretto di polizia come un micropalcoscenico d’avanspettacolo (con poliziotti motociclisti che parlano in rima, un’improbabile coppia di gemelli tenutari di un’agenzia funebre, denunce da macchietta, pausa pranzo da trattoria in divisa, un commissario preoccupato dei propri capelli e di imbastire relazioni extraconiugali). Tre barboni unti e bisunti nel ruolo del coro greco: la madre del trashman, Tiresia e Bile (Izzo). Due psicanalisti sghangherati e ignoranti. Una Tosca D’Aquino da sabato sera di Raiuno, con calze autoreggenti, accenno di strip e entrate in scena da apparizione magica. Una ragazzina entra in una Chiesa e sviene. Stacco. L’ispettore Massa (Casagrande) insegue un’auto e finisce contro un cassonetto-quinta teatrale da cui entra in scena, nudo, con un vocabolario da bimbo, nonostante un’età non più verde, il capocomico Salemme. Il protagonista non ha nome, è svanito, fa confusione con le parole e dovrebbe far ridere con trovate da recita scolastica (contare le pecore, infilarsi nel letto degli ospiti, muoversi da “idiota” candido e altre gag raggelanti). Quando il copione-canovaccio si infila nel vicolo cieco della finzione nella finzione, con santi e fanti, il regista-attore-sceneggiatore fa meta e firma il suo film peggiore. Tra le scene da assaporare, Montella, Ferrara e Cannavaro imparruccati. Gli Aldo, Giovanni e Giacomo del pallone.
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