Regia di Jean-Pierre Jeunet vedi scheda film
Ho rivisto “Amelie” a quindici anni dall’uscita nelle sale, e posso dire che adesso comprendo ancor meglio il motivo del suo enorme successo mondiale, dovuto ad una regia davvero creativa, che in quasi ogni scena ha il coraggio di osare e di reinventare trama e personaggi. Jean-Pierre Jeunet non è mai stato uno dei miei punti di riferimento cinefilo, “Amelie” è il suo unico film che ho visto, concordo con chi prima di me ha detto che nel film si ritrova una visione piuttosto cinica del mondo, soprattutto per quanto riguarda alcuni personaggi secondari, ma, insomma, secondo me lo spettacolo per due ore è garantito, la Montmartre in cui è ambientata la vicenda ha un fascino irreale e giustamente fiabesco, la macchina da presa ha una notevole fluidità di movimento e disegna composizioni che non possono non incantare anche l’occhio più sprovveduto, le musiche di Yann Tiersen danno il loro contributo essenziale alla magia che, bene o male, si sprigiona in diverse sequenze. E’ una favola a lieto fine dove le brutture del mondo non vengono eliminate, ma Jeunet ci invita a credere che sia ancora possibile che qualcuno come Amelie faccia del bene al prossimo in maniera disinteressata, anche se poi le sue azioni talvolta sortiscono effetti che lei stessa non aveva previsto. Un po’ furbetto e calcolato, il film è un prodigio di estetica dove l’immagine torna a racchiudere il senso della sequenza e dell’opera stessa, ma comunque è anche una riflessione abbastanza compiuta su temi come la solitudine, l’illusione, l’altruismo, il caso e la ricerca della felicità. Audrey Tautou disegna Amelie con le giuste dosi di dolcezza e disincanto e se la cava bene per essere una semiesordiente, mentre Mathieu Kassovitz è forse più decorativo nel ruolo di Nino, per quanto comunque adatto alla parte, ma importanti anche i contributi dei caratteristi fra cui spiccano soprattutto Rufus nel ruolo del padre e Serge Merlin nella parte del pittore.
Voto 8/10
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