Regia di Peter Jackson vedi scheda film
A quasi un ventennio di distanza, c’è ancora bisogno di presentazioni? See, come no. Ormai questo 1° film insieme al resto della trilogia è assurto alle più remote vette del “culto cinefilo”, a tal punto che probabilmente si è finito per conferirgli un’importanza e una statura vastamente eccedenti i suoi comunque innegabili pregi e meriti, probabilmente anche “a causa” dell’influenza esercitata dalla foltissima schiera di fan sfegatati dell’opera d’origine (che pare abbia venduto oltre 150 milioni di copie nel mondo).
La compagnia dell’anello è sicuramente un buon fantasy, capace di ricostruire mirabilmente gli ambienti di Tolkien, ma risulta a ben vedere molto più riuscito per l’appunto sul piano visivo, grazie in buona parte agli ottimi effetti speciali e alle imponenti e dettagliatissime scenografie, che non su quello narrativo: bisogna ammettere insomma come in alcuni punti mostri la tendenza a tirarla troppo per le lunghe (non a caso – al contrario che per gli altri episodi – l’extended edition aggiunge poco o nulla).
Si può ragionevolmente pensare la decisione di dividere l’opera in tre lungometraggi si sia resa necessaria al fine di rendere il più possibile giustizia al romanzo (se non altro rispecchiandone la tripartizione), ma non si può al contempo fare a meno di sospettare sia stata dettata anche da molto più pleonastiche esigenze mercantili (anche perché, in origine, i film previsti erano soltanto due). E a fare le spese di questa “diluizione” degli eventi risulta essere in misura maggiore proprio questo 1° capitolo.
La compagnia dell’anello, difatti, ci mette un po’ ad ingranare: al di là della prima decina di minuti che funge da agile riassunto degli eventi antecedenti quelli narrati, la successiva mezz’ora e passa è sin troppo prolissa e si sarebbe potuto benissimo condensarla senza alcuna perdita in termini di coesione narrativa.
Per fortuna, a seguito dell’inizio del viaggio dei due piccoli hobbit, il film finalmente prende quota e inizia a farsi realmente coinvolgente ed appassionante, oltre a “virare” verso più che ben accette tonalità dark, oscure e tenebrose. Ma è specialmente la seconda parte (successiva alla scena del Consiglio a Gran Burrone) quella più riuscita e quella dove parte la storia vera e propria. Vengono introdotti tutta una serie di personaggi uno più riuscito e intrigante dell’altro (Aragorn, Legolas, Gimli, Boromir…), quasi sempre ottimamente interpretati (questa una costante della trilogia, con l’ovvia, macroscopica e inconcepibile eccezione del monocorde e inadeguato Wood nel ruolo del protagonista) e si dà inizio all’epopea avventurosa che è alla fin dei conti anche sulla pagina scritta Il signore degli anelli.
Il tutto viene reso magnificamente sullo schermo, riuscendo anche a mantenersi alquanto fedele al materiale d’origine, al netto di alcune inevitabili deviazioni (a far storcere il naso ai “puristi” sono stati principalmente due fattori: l’accresciuta importanza conferita ad Arwen [non poi così determinante nel romanzo, ed infatti protagonista di alcune delle scene meno riuscite, tanto qui come nei film successivi] e la completa eliminazione del personaggio di Tom Bombadil [ma, dopotutto, sono particolari che chi non ha letto l’opera di Tolkien neppure noterà…]).
In ogni caso, gran parte del merito della riuscita dell’operazione, oltre alla regia di Jackson capace di amministrare un “caos” di proporzioni veramente titaniche, va ascritto senza dubbio all’incredibile lavoro svolto dai tecnici della Weta Digital, dagli scenografi, dai truccatori e dai costumisti che hanno saputo dare consistenza, forma e forza visiva alle parole scritte e soprattutto alla minuziosissime descrizioni ambientali e fisiognomiche dell’autore inglese. Bisogna poi dar credito anche al “conceptual designer” Alan Lee, autore delle stupende illustrazioni a corredo dell’opera scritta, che così tanto hanno ispirato la resa del film. Infine da non sottovalutare il contributo prestato dall’ottima colonna sonora ad opera di Howard Shore che, per quanto forse tendente al manierismo, risulta comunque tremendamente efficace ed adeguata al contesto, e difatti rimane impressa nella memoria.
Ecco, ma è comunque opportuno evitare d’oltremodo esaltare un progetto sì grandioso e imponente, ma non di certo a livello dei più grandi capolavori del cinema. C’è chi ha pure sollevato dubbi circa l’ideologia di fondo a sostegno della fantasia (“brillante ma anche regressiva” [Di Giammatteo]) ma, a dirla tutta, parafrasando le parole dello stesso Jackson, il film, e la trilogia nel suo insieme, vanno visti come nulla più che pura “evasione”, puro intrattenimento senza preoccupazioni ulteriori. E non è quindi il caso di conferir loro un’importanza eccessiva: sono dei bei film per passare nove (o dodici) ore di divertimento, il che è già un traguardo più che ragguardevole: l’esser riusciti a non annoiare quasi mai, a sostenere la gigantesca durata e a produrre al tirar delle somme un convincente adattamento di uno dei più celebri exploit letterari del XX secolo. Sì, tuttavia a voler operare paragoni i successivi due film sono molto più riusciti.
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