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Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert

Regia di Margarethe Von Trotta vedi scheda film

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La recensione su Ingeborg Bachmann – Journey into the Desert

di EightAndHalf
6 stelle

Le vite di Ingeborg Bachmann, una per ogni città d’Europa, per ogni lingua parlata, e soprattutto una per amante. Una donna libera che Margarethe von Trotta vuole indagare nella sua condizione più critica, quella del matrimonio con il geloso Max Frisch. 

Dopo il suo ritratto di Hannah Arendt (che era vicina a Martin Heidegger), von Trotta fa il ritratto della poetessa che si laureò andando contro Martin Heidegger: non si può negare che il suo filtro della Storia sia di specifica personale natura, e nulla può sindacare su una certa unicità del suo sguardo. 

Eppure, come accade spesso con la regista tedesca, il film è interessante per tanti motivi tranne che per il cinema. Ci si può dilungare sulla struttura a incastri, fra il prima e il dopo rispetto alla separazione di Bachmann da Frisch, ma si farebbe un torto al film se si negasse sulla mera utilità di questa struttura rispetto alla costruzione psicologica della protagonista, ben leggibile nelle sue incertezze e nei suoi sforzi di aderire a un modello borghese tramite il senno di poi. E il ritratto non è solo psicologico, probabilmente è metaforico, nonostante la stilettata metatestuale della stessa protagonista contro la retorica della poesia: Ingeborg Bachmann rappresenta in sé il cuore dell’Europa del dopoguerra, che torna cosmopolita, decentralizzata, terra adatta per chi vuole scegliere il proprio posto (Ingeborg sceglie Roma), nel tentativo di sopravvivere a una consistente crisi esistenziale. Von Trotta fa di tutto per non rendere la sua protagonista una metafora, eppure le tracce sono tutte là, e i lenti dolly in avanti sulle declamazioni di Ingeborg certo non aiutano ad asciugare qualsiasi intento retorico. D’altro canto sul fronte stilistico, von Trotta non si muove troppo, la fotografia si limita a ingrigire l’Europa continentale e a ingiallire la ridente Roma. Ma non ha intenzione di risultare fredda, e resta da decidere se il risultato finale sia di equilibrio o di incertezza.

Dell’esperienza Ingeborg Bachmann dunque rimane l’interesse per un personaggio chiave della poesia del Novecento, e la capacità di von Trotta di raccontare seguendo la ratio filosofica di un ragionamento senza dimenticarsi ironia e décor, nel tentativo di produrre la spoliazione di un Ancient Régime europeo nell’esultanza finale di Ingeborg nel deserto. Un europudding che, avvalendosi di una radiante Vicky Krieps, va benissimo per imparare qualcosa, ma sull’intrattenimento cinematografico arriva in maniera collaterale.

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