Regia di Matt Johnson vedi scheda film
Chi dorme non piglia pesci, chi si ferma è perduto. Soprattutto negli ambiti sottoposti a innovazioni continue, che in un lasso temporale estremamente delimitato vedono spazzare via tutto quanto è stato in precedenza sulla cresta dell’onda, e quindi al cospetto di una competizione sfrenata, che non guarda in faccia a nessuno, i singoli intervalli della tipica parabola commerciale (invenzione sconvolgente – ascesa irrefrenabile – vetta assoluta – crollo fuori controllo – fallimento finale) sono diventati sempre più condensati, modificando drasticamente – e a ripetizione – le abitudini dei consumatori.
Questa dinamica riguarda più di qualsiasi altro il settore tecnologico, oggi con l’Intelligenza artificiale, nel primo ventennio di questo secolo con gli smartphone, tra modelli e marchi che in un battibaleno sono passati dal dominio del mercato alla discarica, per via di un progresso che non consente di assopirsi sugli allori e quindi di godere di assestamenti/benefici di lungo corso.
BlackBerry racconta un pezzo di Storia contemporanea, una parentesi – accecante e temporanea - di straordinario successo, che constata e spiega un certo tipo di processo attuale e inarrestabile, tra genialità e malfunzionamenti, aneddoti gustosi e cambi di umore radicali, cercando – in tutti i modi - di non finire impelagato/intrappolato nelle solite e ritrite formule biografiche, un tentativo che porta dei frutti di tutto rispetto ma anche degli scompensi per nulla cauterizzati.
Canada, nella seconda metà degli anni ‘90. Mike Lazaridis (Jay Baruchel – L’apprendista stregone, Facciamola finita) e Douglas Fregin (Matt Johnson – The dirties, Operazione Avalanche) hanno avuto l’idea geniale di racchiudere le funzionalità di un telefono e di un computer nello stesso dispositivo, trovato il modo per attuarla ma non le capacità per riuscire a venderla, rimediando una sterminata sequela di brutte figure quando si trovano di fronte ai potenziali investitori.
Questo quadro cambierà, una volte per tutte, quando stringeranno un accordo con Jim Balsillie (Glenn Howerton – C’è sempre il sole a Philadelphia, The hunt), un uomo d’affari che sa come muoversi negli ambienti popolati da squali, cosicché la loro società arriverà finalmente al meritato successo, che tra upgrade inevitabili e incidenti di percorso scampati per un pelo, arriverà addirittura a essere leader incontrastata del mercato mondiale.
Come ha insegnato la Storia, di lì a breve prenderà il via la rivoluzione imposta da Steve Jobs e niente sarà più come prima.
Tratto dal libro Losing the signal: The untold story behind the extraordinary rise and spectacular fall of BlackBerry scritto da Jacquie McNish e Sean Silcoff, BlackBerry rispolvera una pagina che nel corso di un decennio ha conquistato e poi accompagnato una generazione (presente, mi ha investito in pieno), personalizzata da Matt Johnson (Operazione Avalanche), che ha adattato il soggetto, curato la regia e pure partecipato in veste di attore (fuori dai canoni, da battitore libero e consolidato).
Si tratta di una pellicola dallo svolgimento irregolare/discontinuo, che approfondisce determinati aspetti per poi trascurarne completamente degli altri, gustosa per le sue venature nerd, che strizzano l’occhio ai videogame e soprattutto al cinema (con citazioni dirette che toccano, in modo diverso, Star Wars ed Essi vivono).
Quindi, disponendo di tre anime peculiari, una legata alla genialità applicata al contesto tech, una finanziaria e una più sbarazzina, spende molto tempo sulle origini, su quelle idee troppo d’avanguardia per essere comprese e apprezzate, sull’incomunicabilità tra le parti in causa, per poi spalancarsi il campo con una serie di salti mortali.
Di conseguenza, a fronte di molteplici sbalzi di tensione, alcuni cambiamenti rimangono strozzati (ad esempio, la trasformazione radicale di Mike), per giunta altri punti focali sembrano solo divagazioni superflue (vedasi le aspirazioni da dirigente sportivo di Jim), per una cernita narrativa decisamente variabile e di conseguenza discutibile.
Comunque sia, BlackBerry può contare su parecchi e considerevoli sostegni, come una prelibata patina vintage, una vitalità che riesce a cogliere l’attimo e, più in generale, quella simpatica/irrequieta incoscienza che si tramuta in devastante ossessione, il sogno che viene smarrito per lasciare spazio all’oblio, con il vento che cambia direzione in un battito di ciglia.
Per ultimo, all’interno di una comunione d’intenti che, a torto o a ragione, emerge in maniera piuttosto trasparente, è un vero e proverbiale sollazzo ritrovare Jay Baruchel, un ex enfant prodige dato per disperso, che ritorna in pista con un’interpretazione brillante, convincente e camaleontica, che lascia il segno (i meno attenti si chiederanno da dove salta fuori).
In sintesi, BlackBerry adotta un taglio specifico, arrembante e caotico, parziale e lunatico, con disposizioni sui generis che regalano gemme appetitose lasciando anche dei fianchi scoperti, nonostante duri quasi due ore. Riesce tuttavia a evidenziare la precarietà di un sistema nel quale si sale e si scende dal carro senza sosta, azionando delle leve che funzionano a dovere, per un intrattenimento fragrante che, lungo la sua parabola, racchiude la spensieratezza dei giorni migliori e la drammatica incapacità – anche delle menti geniali – di saper leggere gli eventi e quindi di adeguarsi/rinnovarsi.
Tra fenomeni di massa e valutazioni scriteriate, domanda e offerta, sogno e disincanto, terminali e allegati, colpi di genio e imbrogli, aggiornamenti e sconvolgimenti, sottolineature e omissioni, fattori tecnici e valori commerciali, menti fuori dal comune e istinti arrivisti.
Stravagante e contrastato, eclettico e spavaldo.
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